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Ultimo aggiornamento il 02/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Questo commento di Vittorio Emiliani è apparso sul Fatto.

 

Mi ha un po’ sorpreso e sconcertato l’impostazione generale data all’anniversario di Franco Basaglia. Ne esce, mi pare, un Basaglia isolato, astratto, come calato dall’alto, mentre gli esiti della riforma manicomiale risultano decisamente limitati, con tanti pesi scaricati sulle famiglie. Seguii direttamente l’attuazione della riforma, soprattutto a Parma, più esattamente a Colorno, dove Basaglia operò sostenuto con grande energia e intelligenza dalla Provincia, in particolare da uno straordinario assessore alla Sanità Antonio Tommasini, comunista, poi “eretico”, e per la parte finanziaria da Fabio Fabbri, socialista, assessore al bilancio. Certo, lì potei constatare come quella riforma – che tanto dibattito aveva suscitato su Psichiatria Democratica e nei partiti di sinistra, in particolare – richiedesse dei mezzi notevoli per essere attuata in modo non velleitario. La Provincia di Parma possedeva, per esempio, un’azienda agricola a Vigheffio dove potei vedere un folto gruppo di ex ricoverati – contadini rimasti o lasciati soli, finiti nel buio della depressione – felicemente al lavoro.

La Forestale inoltre si era presa in carico un altro gruppo di ex ricoverati montanari ospitandoli nelle proprie caserme e dando loro pure un piccolo salario. Anche a Voghera, dove c’era un ONP provinciale ospitato in una cittadella edificata su progetto dello stesso Lombroso, rammento che su circa 1000 ricoverati, 600 erano ex contadini soli, alcolizzati, abbandonati a se stessi. Un’altra città e istituzione manicomiale nella quale la legge n.180 poté trovare una attuazione che non gravasse sulle famiglie, fu Reggio Emilia: il direttore di quel Centro di Igiene Mentale era infatti Giovanni Jervis detto Gionni, anche lui di Psichiatria Democratica, che era stato con Basaglia a Trieste e poi era tornato in Emilia per attuarvi la riforma. In quell’area si muovevano altri basagliani come Agostino Pirella e Antonio Slavich. Anche in Umbria rammento iniziative supportate con energica e appassionata convinzione dalle Amministrazioni Provinciali competenti, tutte di sinistra all’epoca, con una classe dirigente di alto livello. Sindaco di Perugia era, tanto per dire, l’antropologo Tullio Seppilli, padovano di origine, che incrociò molte sue ricerche con la psichiatria d’avanguardia appoggiandola in modo convinto nello svuotamento del grande manicomio provinciale di Santa Margherita realizzato da psichiatri che si chiamavano Manuali, Sediari, Giacanelli, Brutti, Scotti.

La legge n.180/1978 arrivò al traguardo del voto alla Camera in maggio, nel periodo, terribile, del sequestro Moro. Andreotti, all’epoca capo del governo, anni dopo confessò di aver avuto una esitazione nel firmarla. Semmai va detto chiaramente che la legge n.180, demandata per l’attuazione alle Regioni, ha avuto una applicazione spesso poco convinta e assai diseguale da zona a zona del Paese: più di trent’anni dopo i Centri di salute mentale erano poco più di 700, dei quali soltanto 16 attivi 24 ore su 24. Mentre le strutture residenziali superavano il migliaio ma con presenze molto diverse sul territorio fra Nord e Sud. Con tutto ciò, l’ultimo manicomio è stato chiuso nel 2002. Resistevano ancora alcuni Ospedali Psichiatrici Giudiziari (ex Criminali) i cui problemi ogni tanto riemergono e che ancora ospitano poco meno di mille malati. Nati nel 1877, centoquarant’anni più tardi, dopo l’inchiesta condotta dalla commissione parlamentare presieduta dal senatore Ignazio Marino, dovevano trasferire in residenze mediche specializzate gli ultimi reclusi in quella strutture di tipo carcerario. Questo per dire che i principi, i concetti curativi ci sono, ma che il bilancio della legge n. 180 in vigore da 42 anni ha bisogno più di mezzi e di centri sul territorio che non di ulteriori revisioni o annacquamenti.