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Ultimo aggiornamento il 02/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

“Lo hanno ucciso come un cane”. Inizia così un lungo articolo sul Roma del 31 agosto 1978. La firma è di Umberto Belpedio, che scrive dell’assassinio di Antonio Esposito Ferraioli, freddato la sera prima da un colpo di lupara alla schiena a Pagani. Oggi ricorre l’anniversario della morte. Aveva 27 anni, una vita davanti. I sicari lo aspettarono di sera sotto casa della fidanzata per scaricargli una rosa di pallettoni di lupara nel fianco. La corsa in ospedale, l’aria che manca, il tentativo disperato dei medici. Niente da fare: Tonino muore pochi minuti dopo tra le urla strazianti dei familiari.

Lui, cuoco e sindacalista, si era ribellato al diktat del padrone: cucinare carne avariata per i colleghi operai nella mensa aziendale della Fatme di Pagani. Quel rifiuto gli è costato la vita. Troppi interessi negli appalti della mensa, troppa camorra e imprenditoria malata. A distanza di quarantadue anni non si è ancora riusciti a dare un volto a chi ha ordinato quel delitto. In città però tutti dicono di sapere. Dicono che sono vivi, che passeggiano tranquilli stringendo mani. Mi chiedo questi ignoti a cosa pensino ogni 30 agosto. Magari - chissà - sghignazzano, con le rughe distese da un tempo che per loro si è spogliato dell’abito del galantuomo e ha garantito una vile impunità. La carne di Tonino valeva meno di uno scialbo spezzatino aziendale. Meno di una bistecca, di una costoletta con le patate.

È questa la fine che meritano quelli che non si fanno i fatti loro. Finiscono ammazzati di notte, mentre tornano a casa, mentre la mamma li aspetta preoccupata alla finestra. A ventisette anni Tonino una vita davanti non ce l’ha avuta più. È morto tra il suono delle tapparelle chiuse in fretta nel caldo di una sera di estate. Nessuno ha visto niente, nessuno sa. Il clima di omertà e indifferenza ha fatto il resto. Sulla vicenda non è mai stato celebrato un processo, nonostante precise dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e convincenti ipotesi investigative. L’assenza di prove evidenti ha compromesso le indagini. Si è riusciti però ad accertare un fatto: Tonino è vittima innocente della criminalità organizzata. Il riconoscimento è giunto dopo una lunga battaglia legale intrapresa dai familiari, figlia di una promessa di impegno sancita in quella sera di oltre quarant’anni fa. Quelle finestre chiuse le ha spalancate il vento impetuoso della memoria. La storia si è fatta strada. Ha oltrepassato i confini dello spazio, ha cavalcato il tempo. Il testimone è passato attraverso tre generazioni. Prima i compagni di Pci e Cgil, poi i suoi cari e gli amici; adesso, decine di giovani. Pagani non si scorda di Tonino.

Questa sera la parrocchia nella quale da giovane era attivo come scout inaugura un centro di ascolto in suo nome. C’è una comunità che continua a ricordare. Commuovendosi e muovendosi. Facendo di quel sacrificio un messaggio di speranza. Ormai sono migliaia le persone che hanno conosciuto Tonino. Lo hanno fatto senza mai mettere piede a Pagani, grazie a chi ha scelto di continuare a pronunciarne il nome. Tonino una vita davanti non ce l’ha avuta più, è vero. Ha però chiesto a tanti di costruire bellezza e seminare giustizia. Ucciso come un cane ma vivo. A ricordarci che la morte, in certi casi, può essere un dettaglio.