Non so quante volte Lucia Pagano è "risorta". Posso dirvi solo come l'ho conosciuta io, decenni fa ormai. Mi occupavo di cronaca sindacale e seguivo delle vertenze nel comparto dell'edilizia. Mi dissero che alla Cgil di Nocera il settore era guidato da una donna. In un mondo fondamentalmente maschile combatteva battaglie difficili. Da allora ho capito che sono due le parole che Lucia Pagano usava, e ancora usa, praticamente sempre: "compagni" e "lavoratori".
Ci sentivamo spesso. Poi, per una divergenza legata a una questione personale, ci siamo persi di vista. Fin quando, non abbandonando mai la realtà sindacale, me la trovai che gestiva un ristorante biologico a San Marzano. Andai a cena da lei e parlammo tanto. Irruenta, appassionata, a volta anche settaria, il suo mondo è la sinistra, ma si sbaglierebbe a pensare al partito. Per lei la militanza è stata quasi unicamente rappresentata dal sindacato, dai "compagni lavoratori".
La vita l'ha messa a dura prova. La tragica perdita del figlio, la mia vigliacca mancanza di coraggio nel non riuscire nemmeno a farle una telefonata, quella sua voglia di abbandonare tutto, poi la reazione, la necessità vitale di combattere per l'Agro nocerino, come dice sempre. Oggi è alla Cisal, il sindacato autonomo e si è candidata alla Regione in una delle liste a sostegno del suo vecchio amico, Vincenzo De Luca. Vicina ai settant'anni è ancora qui. L'ho sentita per chiederle un'intervista, ma le ho subito spiegato che a me non piacciono gli "spazi autogestiti". Risposta secca: "Nemmeno a me". Lucia Pagano è così, prendere o lasciare.