info@saleincorpo.it
Testata registrata presso il tribunale di Nocera Inferiore n.86 del 13/02/2017.
Direttore responsabile Alfonso Tramontano Guerritore / Editore Carlo Meoli. Questo sito non riceve contributi da enti pubblici. Sostieni Saleincorpo, sito indipendente. Puoi farlo versando un contributo a piacere e su base annua sul c/c bancario IT72E3253203200006575211933 intestato a Carlo Meoli. Causale Sostengo Saleincorpo. Grazie.
Code & Graphic by iLab Solutions
Ultimo aggiornamento il 08/05/2024

Saleincorpo

Un'idea di Carlo Meoli

Pubblichiamo un’articolo di Giovanni Cucci S.J. tratto dall’ultimo numero di Civiltà Cattolica.

 

Un test eloquente di quanto il digitale abbia modificato il nostro modo di vivere è il rapporto con il tempo. È ormai appurato che la percezione temporale diminuisce nel corso della navigazione: ci si trova al termine della giornata senza avere consapevolezza della sua effettiva durata, così come è altrettanto difficile ricordare cosa si sia visionato durante le ore trascorse davanti allo schermo. Tutto sembra appiattirsi nell’istante, senza memoria e senza durata. Tale schiacciamento sulla dimensione presente della temporalità non è nato con il web, ma è parte di un più generale clima culturale che ha profondamente rivisitato la nostra relazione con il tempo… Il rapporto con la morte è un parametro di riferimento emblematico. Tale tema acquista un’ulteriore valenza nell’era del web. I dati accumulati negli account, nei social e nei motori di ricerca vengono a formare il profilo digitale di una persona che continua a essere presente in una maniera ben diversa dai mascheramenti fittizi – un avatar, o un personaggio virtuale – di Second life. È l’immagine della medesima persona con la quale si è vissuti che interagisce, parla e risponde alle possibili domande di chi naviga in rete, sempre disponibile al click del suo interlocutore. Nel 1997 la sociologa Carla Sofka ha introdotto il termine thanatology per indicare l’influsso che le nuove tecnologie hanno sulla rappresentazione della morte.

 

Nel web il morto continua a essere presente, a comunicare in modo visibile attraverso i video, le immagini, i testi. Il digitale rende possibile la creazione di un griefbot, un canale automatico (bot) utilizzato da chi rimane, per alleviare il dolore (grief) della scomparsa di una persona cara. “Pensiamo a Luka, l’applicazione per mobile device che permette di dialogare con lo spettro digitale di Roman Mazurenko, ventisettenne bielorusso morto in un incidente stradale. Eugenia Kuyda, l’inventrice di Luka, ha reso possibile ciò che viene soltanto immaginato nell’episodio Be Right Back (2013) della serie televisiva futuristica Black Mirror: continuare a dialogare con il caro estinto in virtù di un software che, riproducendo il suo stile comunicativo adottato sui social, elabora automaticamente le risposte alle domande dei vivi, ‘immaginando’ le probabili reazioni che egli avrebbe avuto se fosse stato ancora in vita”. Anche senza arrivare a tali progettazioni sofisticate, la possibilità di accedere all’account del defunto consente di immedesimarsi con esso e di interagire sui social come se fosse ancora in vita.

Per quanto riguarda l’Italia, è significativa la vicenda di Luca Borgogni, deceduto l’8 luglio 2017: “La madre ha scoperto – con l’ausilio della figlia e senza previo consenso di Luca – la password dell’account Facebook del figlio e per mesi ha scritto quotidianamente post in prima persona (…), come se fosse ancora Luca stesso a scrivere”. Quando Facebook ha constatato il decesso, ha chiuso l’account, nonostante le proteste della madre, che reclamava la possibilità di ereditare il profilo del figlio in modo analogo a ogni altro bene di un caro estinto. Tuttavia, vedersi recapitare messaggi e post da un defunto, se può essere consolante per un familiare, può invece avere un impatto traumatico su altri. La morte rimane un fatto pubblico, e nei social lo è in una maniera ancora più evidente, e risulta impossibile accontentare le esigenze di tutti coloro che ne sono coinvolti. Rimane anche il dubbio se il defunto desideri continuare a sopravvivere sotto questa forma o se invece non preferisca morire anche digitalmente. Per questo molte piattaforme digitali prevedono la cancellazione dei dati dopo aver appreso della morte dell’utente o dopo un prolungato periodo di inattività (per Twitter 6 mesi, per Google 18). Facebook ha elaborato un profilo commemorativo per continuare a gestire i dati dell’account dell’utente dopo la sua morte da parte di familiari o amici…

 

Negare l’idea di morte porta alla sua diffusione indiscriminata nell’ambito della vita ordinaria. I social, offrendo la possibilità di accedere a una comunità virtuale, possono certamente essere di aiuto e dare conforto a chi resta, formando catene di solidarietà per superare il senso di solitudine, che è uno degli aspetti più dolorosi della perdita di una persona cara. Ma devono farlo con accortezza, tenendo conto dei tempi lunghi e della gradualità propria del difficile lavoro del lutto. In caso contrario, si rischia di celebrare se stessi: si posta un messaggio toccante solo per essere presenti nella piattaforma ed esaltare la propria sensibilità, oppure per avere un riscontro notevole di like, senza pensare a come altri potrebbero vivere quel doloroso momento.