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Ultimo aggiornamento il 02/05/2024

Saleincorpo

Un'idea di Carlo Meoli

H come hairdresser, o parrucchiere/barbiere. Uno dei problemi fondamentali per i clausuristi è che il pelo cresce e talvolta anche velocemente. Se per la barba il problema si può risolvere a casa, e tanti mariti e mogli hanno ritrovato antiche complicità rasandosi insieme la mattina, per i capelli – calvi a parte - è un problema e tra le mura domestiche può accadere che, nei casi di capigliatura riccia dei congiunti, sembra di avere costantemente per casa i Cugini di Campagna, purtroppo, però in pigiama, o Napo orso capo, o nel caso di capelli lisci, si salta dalla paura perché sembra di vedere la ragazzina di The Ring. Ma il dramma dei drammi, in questo caso, ahinoi, solo femminile, sono i peli che si ostinano a crescere in ogni zona del corpo. Ognuna prova a rimediare a modo suo: qualcuna si dichiara fan sfegatata di Conchita Wurst e si fa tranquillamente crescere barba e baffi; qualcuna si finge rasta ma le treccine non le fa in testa ma su gambe e cosce; qualcuna mente e sostiene di aver sempre posseduto quelle mutandine con le frange ai lati; qualcuna, dal pelo più robusto e puntuto, usa braccia e avambraccia come spazzole per indumenti; qualcuna infine, avvicinandosi al partner in cerca di coccole, gli sussurra piano “donna barbuta sempre piaciuta”, che ha lo stesso effetto, ma di segno diametralmente opposto, del Viagra o del Chalis: deprime, ahi se deprime.

I come ipocondriaco. È il suo trionfo, ammettiamolo con franchezza: non c’è famiglia reclusa che non abbia nel suo nucleo un ipocondriaco. Solo che prima della tempesta c’era la possibilità di non dargli troppo retta, ora invece si aggira per casa con fare lugubre, spesso avvolto in una coperta che da lontano lo fa sembrare un fantasma, un cavaliere dell’apocalisse oramai alle porte. L’ipocondriaco formato famiglia ha una giornata tipo che è più o meno di questo tenore. Sveglia dopo una notte che, invariabilmente, «è stata un calvario, non ho chiuso occhio, nel letto a un certo punto ho creduto di morire» e perché non sei morto, pensa la moglie/marito che invece ha visto che ronfava come un cinghiale; pillola per la pressione alta poi però subito colazione abbondante per non farla abbassare troppo; quindi lavaggio delle mani (vedi alla voce gel) e di ogni superficie domestica; poi le lamentazioni obbligatorie, un crescendo rossiniano: «ho un cerchio alla testa», «ho mal di stomaco», «ho le gambe pesanti e un po’ d’affanno», fino all’inevitabile «speriamo che non ho beccato il virus», e subito dopo misurazione della temperatura corporea con una scala Mercalli adattata alla situazione: da 36,7 a 36,8 è allarme, da 36,8 a 36,9 stato d’ansia, da 36,9 a 37 avviso di catastrofe, da 37,1 a 37,2 è tempo di fare testamento, da 37,2 in avanti vede la madonna e tutti i santi che lo accolgono nell’al di là. Chi vive con lui ha due strade: riuscire a fargli fare il tampone ma dicendogli che per essere sicuri dell’esito, il bastoncino deve tenerlo in bocca per sette giorni; oppure comportandosi all’esatto contrario delle disposizioni governative: così l’ipocondriaco/a muore d’infarto e il problema è risolto.

L come lucente o come lucidare. Avete già capito, la clausura che avrebbe dovuto e potuto essere il festival dell’ozio, la rassegna internazionale del “dolce far niente”, la biennale del “divano e tivù”, diventa l’occasione per pulire casa. E dunque, lucidare, strofinare, rendere tutto lucente. Il clausurista, o più frequentemente a dire il vero la clausurista, che si infetta di questo morbo, è senza speranza, nel senso che non ne dà a chi ne condivide la clausura. E così: oggi si lavano e lucidano i bicchieri ricevuti come regalo di nozze, trent’anni e più di onorata carriera trascorsa chiusi in un mobile; domani tende e tappeti, manco fossimo in una moschea dove sui tappeti in effetti ci si inginocchia; dopodomani, piatti e servizio da dodici con il bordino dorato, ma a che pro, se a stento si mangia un passato di verdure (si legga più avanti); infine, puliamo maniglie e serrature perché è lì che si può annidare il virus. C’è di sicuro che una di quelle maniglie, quella della porta di uscita, è proprio il caso di impugnarla perscappare e farsi denunciare per essere scesi senza autocertificazione (forse all’epoca saremo all’undicesima o giù di lì).

M come miraggi. Con il prolungarsi della clausura e la pazzia che avanza, seconda dei casi appaiono, di giorno o di notte, miraggi diversi. C’è chi vede Padre Pio; chi entra in cucina e vede la tavola imbandita con piatti di ogni genere, per lo più dannosissimi per la salute che solo a guardare salgono i trigliceridi e il colesterolo balla la macarena; chi crede di vedere, al di là del corridoio, la spiaggia di Copacabana o le cascate del Niagara; chi crede di vedere ancheggiante e in guepiere e lingerie Monica Bellucci; chi semplicemente non vede nel buio la sedia e inciampa e bestemmia come un turco, e poi vede Erdogan che lo minaccia sotto la porta del bagno. E poi c’è chi vede il marito/moglie bello/a e sexy e atletico/a e pronto a giacere con lui/lei. E quello è davvero un miraggio, o sono i peperoni a cena.

N come nonno o nonna. Quelli della clausura hanno improvvisamente scoperto, stando a casa, che per le stanze si aggira una strana figura metà uomo/donna e metà vestaglia. Qualcuno, più audace, si è spinto a chiedergli/le “scusa, chi sei?” e alla risposta “sono il nonno/a” o anche alla bastonata ricevuta sul cranio, ha reagito immusonendosi un po’. Di certo c’è che, trascorrendo più tempo in casa si è scoperto qualche piccolo, innocente segreto: il nonno, ancora pimpante e azzimato, si era fidanzato con una bella e fiera ramazza incontrata e corteggiata nello sgabuzzino degli attrezzi di casa dove talvolta lo rinchiudevano; la nonna, animo dolce e romantico, parlava abitualmente con le forchette e i cucchiai e raccontava loro le storie di gioventù, di «quando ero una bella ragazza e mi venivano tutti dietro». Ora invece con la casa piena per necessità, loro sono felici come bambini anche se sanno bene che è cambiato poco nei rapporti interpersonali: il nonno lo confessa amaramente alla ramazza mentre ballano un languido tango, la nonna si confida con una forchetta e le scappa una lacrimuccia.

O come ora di pranzo. Dovrebbe essere un momento lieto della clausura forzata. Dovrebbe, ma non è sempre così, perché il clausurista ha scoperto sulla propria strada un’insidia insospettata: non ha sposato l’amore della sua vita, no, ha sposato la dottoressa Tirone, divide la casa con un’assistente di Chenot. Dunque, niente primi piatti da leccarsi le dita, secondi ricchi di salse e condimenti, dolci, fritti, vino. No no no: ma passati di verdure, che «se no con ‘sta vita sedentaria sai quanto diventi»; frullato di frutta ma senza zucchero o latte, altrimenti «l’organismo come si purifica?»; petto di pollo, ala di pollo, zampa di pollo, occhio di pollo, palla di pollo di Apelle figlio di Apollo, penne di pollo e «se fai il bravo, orecchie di pollo». Ed è così che alla prima uscita possibile, magari per la farmacia, ci si arma e si ammazza fruttivendolo e macellaio di zona, poi si torna a casa a testa alta e petto (di pollo) in fuori.

P come pantofole. Più e meglio del cane, sono il miglior amico dell’uomo. Del resto, il termine pantofolaio non nasce oggi ed è metafora da sempre di ozioso casalingo nullafacente sdivanato ribusciato. In effetti il clausurista, ma anche la clausurista, eh, non vedeva l’ora di essere autorizzato a ciabattare da mattina a sera per casa, trasformando le pantofole in una sorta di protuberanza corporea che lascia il passo solo, ma a caldo inoltrato, alle cugine estive, le altrettanto inseparabili infradito. Via via che si allungano i giorni di chiusura domestica forzata, l’ozioso casalingo nullafacente eccetera eccetera, diventa tutt’uno con le pantofole (e il pigiama, naturalmente, che pure inizia per P) e nascono così figure di animali fantastici – e sai pure dove trovarli: il doccialaio, bipede che ha la caratteristica di farsi la doccia o anche il bagno con le pantofole ai piedi, nel secondo caso usandole come paperelle per giocare; il sacchettolaio, animale notturno che esce a gettare il sacchetto dei rifiuti rigorosamente in pantofole; il trombalaio, raro rarissimo esemplare che ancora riesce a fare sesso domestico in cattività e malgrado la casa piena, e naturalmente, oltre alla maglia di lana, sotto le coperte si tiene anche le pantofole; infine, il giornalaio, che vi sembra di conoscere già ma in realtà è l’uomo che si spinge fino all’edicola all’angolo a comprare giornale e settimana enigmistica in pantofole. Il dispetto maggiore che la moglie può architettare è: in caso di decesso, seppellirlo con scarpe e calzini ai piedi.

(2-continua)