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Ultimo aggiornamento il 07/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

I rifiuti tossici prodotti, molto spesso, dalle grandi aziende del Nord finiscono soprattutto nell'Est europeo. Stiamo avvelenando Bulgaria, Macedonia, Polonia. In questo articolo, apparso sul Fatto, Gianfranco Amendola spiega i meccanismi di un affare da centinaia di milioni di euro. E tutto accade sulla pelle della gente.

 

 

È di pochi giorni fa la notizia di un’indagine su larga scala della polizia bulgara culminata nel fermo (seguito da dimissioni) del ministro dell’Ambiente bulgaro, Neno Dimov, per aver consentito il trasferimento e lo smaltimento di 9000 tonnellate di rifiuti urbani italiani in siti non adeguati e non autorizzati nelle città di Vraca e Pleven. Ma già il mese scorso i carabinieri del Noe di Milano, dopo il sequestro di numerose aree del Nord Italia adibite a discariche abusive, avevano sequestrato un’intera spedizione costituita da un carico di 582 balle di rifiuti anche industriali e senza più frazioni riciclabili, classificati falsamente come “scarti di plastica recuperabili”, riposte su 17 carri ferroviari nello scalo di Lecco per un peso complessivo di 815 tonnellate e un valore di circa 130.000 euro.

Di certo, peraltro, si tratta di traffici non sporadici se si pensa che negli ultimi anni, dopo la chiusura delle frontiere cinesi ai nostri scarti, l’importazione di rifiuti in Bulgaria, provenienti soprattutto dall’Italia, è aumentata di circa cinque volte. E si tratta sempre di rifiuti destinati, sulla carta, a recupero, ma che molto spesso prendono ben altra destinazione oppure vengono “recuperati” senza rispettare le norme europee di tutela in qualche cementificio, centrale elettrica e simili. Il motivo è semplice: poche spese e massimi profitti. Un esempio per tutti: il 26 agosto 2016 salpava dal porto di Augusta la Nave Blu Star I alla volta della Bulgaria, con i rifiuti inviati dalla società Sicula Trasporti provenienti dalla discarica siciliana di Grotte. Costo dell’operazione: 30 euro a tonnellata. Impensabile in Italia se veramente si volesse procedere a riciclo e recupero secondo legge. Peraltro, buona parte dei rifiuti inviati in Bulgaria proviene dal sud Italia: il Comune di Giuliano, ad esempio, ha firmato un contratto con l’azienda bulgara “Es Er Technologies (Es Er Te)” per spedire le balle da Napoli a Burgas. Ma – secondo la stampa locale – “non è del tutto chiaro dove venga poi portata la spazzatura”.

Peraltro, non c’è solo la Bulgaria. Sono in corso indagini congiunte di Italia e Albania su migliaia di container di rifiuti provenienti dal porto calabrese di Gioia Tauro e diretti in Macedonia, che risultano sbarcati a Durazzo e sembrano scomparsi lungo il tragitto. E c’è anche la Polonia. Recentemente, Greenpeace Italia ha documentato l’abbandono di un centinaio di balle, almeno in parte provenienti dalla raccolta differenziata di rifiuti urbani italiani, in un’area industriale di Gliwice, in Polonia.

Insomma, è del tutto giustificato il sospetto che i Paesi dell’est Europa, dove scarsa attenzione viene dedicata alle norme di tutela ambientale, stiano diventando, come dichiarato dal capo del Partito socialista bulgaro, “una discarica per rifiuti provenienti da tutto il mondo”. Con l’ulteriore sospetto, esplicitato dal segretario generale del ministero dell’Interno bulgaro, che vi sia lo zampino della criminalità organizzata italiana. È un altro tassello dell’economia circolare all’italiana, dove, a causa di una normativa e di un sistema di controllo inadeguati (con milioni spesi per un sistema nazionale di controllo, SISTRI, totalmente fallito) una parte consistente di rifiuti che figurano come riciclati finisce, in realtà, in capannoni, in discariche abusive, in roghi tossici o in campi coltivati con la sigla di compost o fanghi destinati all’agricoltura (ove è tuttora consentita la presenza di sostanze tossiche). Oppure scompaiono in qualche discarica più o meno abusiva dell’Europa dell’Est.