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Ultimo aggiornamento il 19/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Nello spaccato dell’antica Napoli per sette anni il prodigio si ripeteva ogni domenica. In ogni strada c’erano segni e passi. In ogni luogo di allenamento, per ogni esercizio del gioco. Il gaucho venuto dall'Argentina attirava a sé la gente, come il ritorno della luce di Dio. Come il credo nel corpo e nel sangue dei santi. Il rito attraeva lazzari e ricchi, lestofanti e padroni e mercanti, facendo a questi felicità, e ai nemici odio e vendetta. Di giorno la gente assediava il re nel suo castello. La domenica celebrava le sfide e le vittorie. Così la povera Napoli, la maledetta Napoli risaliva al cielo, fino ai mondi dei padroni, delle squadre a strisce, delle fabbriche e dell’oppio del popolo. Di notte i camorristi chiedevano conto, esibivano Diego alle feste e lo circuivano d’onori. Lo proteggevano blandendolo come un dono. Le sue foto nelle dimore, negli abbracci di famiglie e clan, apparivano per la città, su schermi e giornali. Partenope era regno e prigionia. 

Poi appare il pallone. Schizza tra i piedi, rotola in mezzo alle linee nemiche. E’ una lotta di classi e bande, sotto le luci innalzate ai tralicci, puntate dal cielo sull’arena. Fuori i leoni. Fuori  il Dio, che dimostri alle guarnigioni più forti la sua bassa statura di baleno, la sua natura immaginaria e potente. E’ un azzurro rimasto nel tempo, con la faccia sugli altari a devozione e ricordo. Quando parla ha l’accento strascicato, il piglio della rivolta. Quando gioca è un trucco. un colpo di mano.  

«Il calcio è un gioco basato sull’inganno» 

Questo è un film. Un documentario. Una scorsa di meraviglie e dolore. Un cuore in rovina, in mezzo ai colpi e ai calci degli avversari. Ecco Diego Armando Maradona nelle immagini private della famiglia, in campo col pallone cucito di rombi e cuoio. Nel fango nostalgico degli anni ottanta, nel catino di Città del Messico, nelle periferie di Buenos Aires. Nei buchi della città più disastrata d’Italia, che incrocia il suo re e lo riconosce. Napoli lo bacia e lo annienta, come un Vesuvio che esplode e scivola il suo fuoco in mare.

Il prodigio è la manifestazione dell’assoluto, in mezzo ad un’attesa scandita dal tempo magico. In questo contorno, con il silenzio che accompagna le fasi della celebrazione, il rito si compie nel suo tempo. Durante il gioco non esiste altro. Tutto sparisce. I pensieri, la realtà. La palla si muove nell’infinito. Come un’apparizione. 

 

 

 

Impressioni su "Diego Maradona", film documentario realizzato dal regista Asif Kapadia, con cinquecento ore di immagini messe a disposizione dalla famiglia del campione argentino

 

 

 

 

 

 

ALFONSO TRAMONTANO GUERRITORE