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Ultimo aggiornamento il 05/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

La legge sull’autonomia differenziata è stata varata dal Senato, e con tutta probabilità sarà approvata anche dalla Camera. Questo non determina automaticamente la concessione di maggiore autonomia alle Regioni che l’hanno richiesta: si stabiliscono solo le procedure per quella concessione. Sarà necessario che i governi nazionale e regionale sottoscrivano apposite intese (una per regione), e che queste siano poi a loro volta approvate dai due rami del Parlamento. La strada è quindi ancora lunga. Questa è una buona notizia: ma purtroppo l’unica in questa vicenda. Vediamo perché.

Questa legge non è giuridicamente necessaria: non a caso il governo Conte-1, nel 2019, stava arrivando all’approvazione delle intese, senza alcuna precedente normativa. Di più: si tratta di una legge ordinaria; quindi, le successive norme che conterranno le intese potrebbero stabilire disposizioni differenti. Ma se è così, perché è stata fatta? I motivi, di un certo interesse, sono di natura politica. Due in particolare.

In primo luogo, la sua approvazione suggella l’intesa fra la Lega e i partner di governo consegnando tutto il potere, su questo tema, alla presidente del Consiglio. La legge stabilisce che le Camere avranno un ruolo decorativo: si limiteranno a produrre degli atti di indirizzo, dei quali la presidente potrà non tenere conto. Certo, esprimeranno il voto finale: ma sarà un voto di fiducia al governo: sì o no senza poter condizionare il merito delle intese. In altre parole, i parlamentari di maggioranza hanno deciso di rinunciare al proprio ruolo: non saranno loro a stabilire se le Regioni potranno assumere i propri insegnanti; conformare a proprio piacere gli assetti della loro sanità (incluso il ruolo del privato) abolendo di fatto il Servizio sanitario nazionale; istituire una propria autorità per la sicurezza dei trasporti, e così via. Tra l’altro, i parlamentari, come tutti gli italiani, non sanno nulla dei possibili contenuti delle intese. I punti su cui si era arrivati a un accordo nel 2019 sono sempre rimasti segreti e nulla si sa delle intenzioni dell’attuale governo. Si ricordi che un documento (anch’esso segreto) del Dipartimento per gli Affari regionali elenca disciplinatamente circa 500 funzioni che potrebbero essere cedute alle Regioni: gran parte dell’ossatura dei poteri di uno Stato sovrano. La legge non stabilisce gli ambiti su cui condurre o meno una trattativa e i criteri per decidere o meno che cosa cedere alle Regioni. I parlamentari cederanno i poteri legislativi e amministrativi che la premier deciderà. Sarà lei a decidere se escludere alcune materie. Si tratta, nei fatti, di una anticipazione di un premierato assai rafforzato; di una pagina non certo gloriosa della nostra storia parlamentare.

In secondo luogo, la legge serve per alzare una cortina di fumo per convincere gli elettori di Fratelli d’Italia e di Forza Italia che l’autonomia differenziata produrrà una magia: richiesta dai leghisti del Nord migliorerà invece le condizioni del Centro-Sud. La cortina di fumo sono i Lep. Con questo bruttissimo acronimo si designano i “livelli essenziali delle prestazioni” previsti in Costituzione. Importantissimi: i diritti civili e sociali di tutti gli italiani; e, in quanto tali, i capisaldi dei meccanismi finanziari che regolano le entrate di Regioni e Enti locali. Ma, nell’ambito dell’autonomia differenziata, una cortina di fumo. Perché dovrebbero essere stabiliti indipendentemente da quel processo; perché si pensa di definirli solo nelle materie eventualmente cedute dallo Stato alle Regioni e non anche per le competenze che esse, con i Comuni, già esercitano; perché saranno quantificati senza aggravi di spesa, e quindi in modo tale da cristallizzare gli attuali assetti dei servizi pubblici, squilibrati territorialmente. Chi ha dubbi in merito legga l’audizione del 1º febbraio dell’Upb (Ufficio parlamentare di bilancio). Non certo da ultimo, perché non saranno definiti dal Parlamento, con una grande discussione pubblica, politica, che contemperi le esigenze di finanza pubblica, i diritti dei cittadini, le fisiologiche contrapposizioni territoriali. Vedranno la luce grazie al comitato Cassese (ora sperticato sostenitore dell’autonomia differenziata) e ai calcoli della Commissione tecnica fabbisogni standard presieduta dalla giurista D’Orlando che, come è possibile vedere sull’apposito sito, fa parte della “delegazione trattante” della regione Veneto a supporto del presidente Zaia. Con quattro possibili diversi e arzigogolati percorsi, nota l’Upb: definiti da una legge che è tutt’altro che chiara e lineare.

Ma l’importante è comunicare; curando bene che i cittadini non capiscano davvero che cosa è l’autonomia differenziata prima che questa sia approvata.