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Ultimo aggiornamento il 01/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Ci avrei scommesso: puntualmente anche Bonaccini si associa a quanti invocano un terzo mandato. D’istinto, verrebbe da reagire così: possibile non ne abbiano mai abbastanza? Ma sarebbe una reazione riduttiva dal sapore moralistico. Trattasi infatti di questione di rilevanza politica e istituzionale.

Si pensi a una distorsione che non è solo lessicale: è invalsa l’abitudine di chiamare “governatori” i presidenti di regione. Un nome privo di valenza costituzionale. Una deriva tutt’altro che priva di conseguenze pratiche. Lo abbiamo misurato e pagato al tempo della pandemia. Lo si riscontra nella boria dei Formigoni e dei De Luca e in quella solo meno ostentata degli Zaia. Ripeto: non è problema di forma ma di sostanza. Il limite ai mandati era strettamente connesso con la introduzione della elezione diretta dei presidenti di regione. E ancora oggi chi, giustamente, critica il “premierato assoluto” proposto dal governo osserva che, come minimo, si dovrebbe porre un limite ai mandati. La ratio è quella inscritta nel cuore stesso del costituzionalismo democratico ovvero scongiurare la concentrazione del potere. Favorire l’avvicendamento, la circolarità nell’esercizio del potere. L’opposto delle nuove satrapie, con ciò che esse si portano dietro: familismo, clientelismo, conflitti di interessi.

È singolare e tantopiù riprovevole che mostrino di non intenderlo coloro che, dall’opposizione, contestano alle destre al governo una pratica di occupazione del potere e di allergia ai controlli che si spinge sino al disegno di uno stravolgimento degli equilibri costituzionali. È grave, ma – va detto – non è sorprendente. Semmai avvalora l’impressione che, tra i mali endemici che affliggono in particolare il Pd, vi sia quello di un ceto politico obeso troppo occupato ad assicurare un futuro politico a se stesso. Una dose di professionismo politico ci può stare. Ma senza esagerare e soprattutto senza trasmettere l’idea di confondere il mezzo con il fine e di ignorare che la “cultura del limite” (e dei limiti) è alla base della democrazia costituzionale.

Mi sono fatto la convinzione che tra le ragioni per le quali, smentendo tutti i pronostici, il M5S sia sopravvissuto politicamente ed elettoralmente, sia da annoverare il rispetto – persino esagerato – del limite dei mandati. Riusciranno i nostri eroi (leggi Schlein) a tenere il punto dalla Campania all’Emilia? Un punto di principio che ha a che fare con il modo di fare politica e di concepire il servizio nelle istituzioni.