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Ultimo aggiornamento il 03/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Pubblichiamo un intervento del giornalista e scrittore Marco Brando sui motivi per i quali ha deciso di votare al referendum contro il taglio dei parlamentari. L'analisi è apparsa sul Fatto.

 

Prima di esprimere il mio punto di vista a proposito dell’imminente referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, voglio fare una premessa. L’abitudine italica a considerare nemici e poco di buono coloro che la pensano diversamente ha superato da tempo il limite di guardia. Lo dimostra anche una parte del dibattito intorno al referendum: mi riferisco non solo alle sempre più frequenti scazzottate sui social, ma anche ai commenti sui media da parte di autorevoli firme. Capisco che sia difficile resistere all’istinto della rissa, rinfocolato per scelta politica negli ultimi anni, però la democrazia dovrebbe basarsi anche (e forse soprattutto) sulla tolleranza. Detto questo, in occasione del referendum – nel rispetto di (opinabili) valori in cui mi riconosco- voterò “No” al taglio. Ecco il mio personalissimo decalogo.

1. Voterò “No” perché credo che il popolo italiano, tanto più in questa fase segnata dal potere sempre maggiore dei vertici dei partiti (o di piattaforme che coincidono con i vertici), debba essere molto rappresentato in Parlamento, con tutte le sue sfaccettature. Riducendo l’attuale numero dei parlamentari da 945 a 600, per un totale di 400 deputati (oggi sono 630) e di 200 senatori (al momento sono 315), si riduce questa rappresentanza: 153.685 sono i cittadini che ogni deputato rappresenterebbe in media, neonati compresi; mentre ogni senatore ne rappresenterebbe 301.223. Il testo originario della Costituzione, nata dall’antifascismo, prevedeva un deputato ogni 80.000 abitanti (o frazioni superiori a 40.000) e un senatore ogni 200.000 abitanti (o frazioni superiori a 100.000).

2. Il fatto che nel mondo ci siano Paesi democratici con un rapporto minore rispetto al nostro tra cittadini e parlamentari (così come ce ne sono con un rapporto maggiore) non mi interessa; non stiamo parlando di tasso di inquinamento ma di tasso di democrazia. Resto convinto del fatto che la previsione fatta dai padri della Costituzione rispondesse allora, come oggi, alle esigenze dell’Italia, con la sua storia e le sue caratteristiche.

3. La motivazione del “Sì” al taglio basata sui soldi che verrebbero risparmiatiappare inconsistente. Le casse dello Stato, considerando una minore spesa di 81,6 milioni di euro l’anno, risparmierebbero soltanto lo 0,01%. Credo che la tutela della rappresentanza valga il costo annuale di un cappuccino per ciascuno di noi. Se proprio si vuole risparmiare, si taglino le spese oggi sostenute dallo Stato per ogni parlamentare, senza diminuire il numero degli eletti.

4. Un calo della rappresentanza democratica – oltretutto in mancanza di riforme elettorali che accompagnino questa riduzione – affida alle alte sfere dei partiti più potere nella selezione ( quella dei parlamentari succubi dei vertici) e nella deselezione (di coloro che sono considerati insubordinati e scomodi). Questi partiti sono gli stessi in balia, da anni, di una deriva leaderistica, che cavalca strumentalmente gli umori della gente, depotenzia la vita politica e aumenta la crisi delle idee nella sfera pubblica. Occorre contrastare questa deriva.

5. La maggior parte di chi voterà “Sì” al taglio lo farà sull’onda di un sentimento di rivalsa (ampiamente coltivato – guarda caso – da certi leader) nei confronti dei parlamentari, giudicati parassiti nullafacenti e spesso corrotti; se davvero così fosse, una loro riduzione percentualmente non altererebbe questa presunta vocazione, semmai favorirebbe gli opportunisti, capaci di adeguarsi alle aspettative di chi seleziona le candidature, salvo “tradire” in seguito. È dunque, secondo me, preferibile una maggiore rappresentanza.

6. Una riduzione dei parlamentari non favorirebbe comunque la loro selezione. Per fare un esempio concreto, prendiamo il partito attualmente più rappresentato in Parlamento, il Movimento 5 stelle, che è anche il portabandiera del taglio. I suoi leader si vantano di avere adottato il sistema più trasparente ed efficace nella selezione dei propri deputati e senatori. Eppure tra espulsioni e uscite, nel giugno scorso aveva già perso per strada 42 parlamentari su 343 eletti nel 2018; cioè, circa il 13 per cento in due anni. Un eventuale numero ridotto di persone eleggibili– vista la difficoltà nel selezionare i papabili- non avrebbe diminuito le percentuali dell’esodo e le sue conseguenze sulla stabilità dei rapporti di forza, perché il problema non sta nel numero di parlamentari ma nella debolezza e nella friabilità dei partiti.

7. La riduzione dei parlamentari non appare connessa a una visione di riforma organica. Lo slogan principale di chi ne ha fatto una bandiera populista (legata all’esigenza di “mantenere le promesse”, rispondendo a un pregiudizio vendicativo diffuso nei confronti dei parlamentari) è “bisogna tagliare le poltrone”. Perché? Per far cosa? Mistero. Il presupposto da cui è nato il taglio è questo: un posto in Parlamento è una poltrona dalla quale gli eletti traggono spesso vantaggi personali, quindi la politica non può essere considerata una professione nobile, indispensabile per far funzionare una democrazia liberale.

Con questa logica, si smonta la credibilità complessiva del Parlamento, anche se fosse composto – tanto per fare fantapolitica – soltanto da tre senatori e da tre deputati; mentre si coltiva il mito del leader illuminato solo al comando (mito smentito dalla storia dei totalitarismi).

8. Parlare di taglio di parlamentari si può, non è un tabù; però è indispensabile anche sapere in base a quali concezione del sistema democratico parlamentare se ne parla. Se lo si fa per migliorare il sistema è un conto; se si tratta soltanto di “tagliare poltrone” per dare un senso alle promesse populiste dei leaderoni e leaderini di turno, il giudizio, dal mio punto di vista, è negativo.

9. Questa visione anti-parlamentare viene proposta in un periodo storico in cui si tende a trasformare il Parlamento in un “votificio”, troppo spesso chiamato a rapporto – non soltanto in Italia – esclusivamente per dire “Sì” o “No” ai decreti del governodi turno; per il resto, sembra considerato un freno fastidioso per l’attività dell’esecutivo. Mi pare un’ottima ragione per non indebolire Camera e Senato.

10. In sintesi, preferisco pagare il costo – che non è un spreco – di una rappresentanza democratica forte in Parlamento, piuttosto che votare a favore di un taglio che è stato preteso soltanto per questioni propagandistiche.