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Ultimo aggiornamento il 02/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Michele Russo è consigliere comunale di opposizione a Scafati.

 

La Scafati Sviluppo s.p.a., partecipata al 100% dal Comune di Scafati, dichiarata fallita nel 2017, è ancora a tutti gli effetti una società del Comune di Scafati. Una storia lunga quella dell’area di via Domenico Catalano, la cui estensione è di circa 130.000 mq. Negli anni ’70 il Comune di Scafati promosse l’insediamento dell’Alcatel su un terreno di proprietà comunale. A seguito della decisione di cessare l’attività da parte della multinazionale l’area venne ceduta negli anni ’90 ad una società, la Copmes, dell’imprenditore Paolo Artioli.

A seguito del fallimento della Copmes l’amministrazione comunale, per una clausola contenuta nel contratto, riuscì a ritornare in possesso di tutta la consistenza immobiliare, decidendo di costituire nel 2005 la società di trasformazione urbana Scafati Sviluppo s.p.a., per la reindustrializzazione dell’area, sebbene il Comune di Scafati fosse già socio di un’altra società analoga, Agro Invest spa. Dopo il 2010 partono concretamente le attività di cessione dei capannoni da costruire sulla base di un progetto preliminare redatto da Giugiaro Architettura. L’appalto dei lavori ha prodotto la costruzione di una parte dei capannoni previsti, ma il tutto si è bruscamente arenato per le difficoltà economiche e gestionali culminate nella sentenza di fallimento di Scafati Sviluppo del Tribunale di Nocera Inferiore 2017.

Le criticità avevano iniziato a manifestarsi già da tempo. Infatti il Comune di Scafati, pur senza procedere ad aumenti di capitale, aveva proceduto nel corso degli anni ad erogare finanziamenti alla società, dell’ordine di oltre 500.000 euro, finanziamenti che la stessa società non risulta abbia mai restituito. Allo stato attuale l’area presenta una situazione con problemi dovuti al fatto che vi sono insediate numerose attività artigianali, alcune preesistenti ed altre invece acquirenti da Scafati Sviluppo s.p.a., con servizi in comune e necessità di una gestione condominiale delle aree.

Tali attività, che danno occupazione a centinaia di addetti, stanno vivendo in quadro di incertezza per la situazione giuridica dell’area e per le prospettive non chiare, ed è dovere dell’amministrazione continuare a seguire ed accompagnare il processo di reindustrializzazione, pur nella legittima differenza tra i ruoli dei curatori fallimentari e di chi come Comune ha una duplice veste di socio unico della Scafati Sviluppo s.p.a. fallita e di governo del territorio e di salvaguardia degli interessi pubblici.

Il Comune di Scafati ha una terza veste, e cioè quella di creditore del fallimento proprio per i prestiti effettuati alla sua società ed avrebbe dovuto costituirsi tra i creditori, diversamente si profila il danno erariale. Di questo non si ha notizia, ed andrà verificato nelle sedi opportune. L’attività dei curatori sta procedendo con la vendita dei capannoni liberi, ma purtroppo anche con la revocatoria degli atti di acquisto da parte dei legittimi acquirenti da Scafati Sviluppo nel 2016, acquirenti che hanno già pagato e sono insediati con attività avviate. Si profilano lunghi contenziosi tra gli imprenditori e la curatela con possibili ripercussioni patrimoniali per gli acquirenti.

Qualche perplessità urbanistica, poi, abbiamo sulla vendita dell’area inedificata, di circa 18.000 mq, disposta dai curatori a dicembre scorso, che non sappiamo se sia avvenuta e che potrebbe configurare una lottizzazione da valutarsi da parte dell’amministrazione. C’è un altro aspetto delicato che ci preoccupa. Come si verifica in tutti i fallimenti, il soggetto fallito conserva responsabilità, compiti ed interessi legittimi che competono al legale rappresentante, figura giuridicamente diversa e distinta dal curatore. Nel caso di Scafati Sviluppo, stando ai pubblici registri attuali, il legale rappresentante sarebbe un consigliere comunale. E’ evidente che occorre fare chiarezza su tale aspetto, e capire chi e come stia tutelando gli interessi del Comune di Scafati socio unico del soggetto fallito.

Tanto più se dovesse verificarsi, come appare possibile, che al termine della procedura di vendita le entrate possano superare i debiti e quindi la società ritornare in “bonis”, come si dice in gergo tecnico. Nel frattempo vi sono beni della società, non cedibili nell’ambito della procedura fallimentare, come le aree comuni – viabilità interna, parcheggi, verde - che dovranno ritornare in piena proprietà all’amministrazione e la cui sorveglianza non deve essere abbandonata né dal curatore né dall’amministrazione.  Concludendo dobbiamo rilevare che in questi 11 mesi di amministrazione comunale non abbiamo registrato iniziative né interessamenti alla vicenda, almeno evidenti per quanto a conoscenza dei consiglieri comunali. Confidiamo, che anche su nostro impulso, la tematica abbia il giusto rilievo.