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Ultimo aggiornamento il 19/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

L’isola che non c’è esiste. E’ nata spontaneamente nel cuore del fiume Sarno, in tempi molto più rapidi rispetto ai tempi geologici delle terre emerse, legate alle faglie e ai sommovimenti vulcanici. Dopo la celeberrima isola del pacifico, ribattezzata pacific garbage patch, anche nel fiume più inquinato d’Europa si è accumulata una formazione concreta e solida,  costituita da masse di rifiuti, dove deporre ogni residua speranza di un mondo pulito. 

 

 

 

L’acqua del Sarno nasce limpida da tre sorgenti, una delle quali si trova nel cuore della città omonima, dal Rio Palazzo: nei dintorni immediati c’è il parco dei cinque sensi, con insediamenti di uccelli, anatre e pesci di varie specie, col fiume che fa il fiume e muove incontaminato, a due passi dall’origine delle sue acque gelide. Il panorama cambia nel volgere di poche migliaia di metri, appena entrati nel territorio di San Marzano sul Sarno, coi rifiuti che compaiono e seguono il flusso placidamente. Va ribadito che quest’area rurale è tutto un campo, con gli agricoltori ad approvvigionarsi di acqua per portare avanti la loro attività, sulle tracce del raccolto di ortaggi, frutta e prodotti pregiati. Qui l’isola di plastica non è una, ma si divide in tre masse, a formare altrettanti punti di ostruzione, non proprio scogli né terraferma, ma agglomerati tenuti in un’area comune dalle correnti, dagli altri ostacoli sui fondali, dalle polemiche e dalla rabbia di residenti e coltivatori, che puntano il dito su istituzioni, amministrazioni e soprattutto sul Consorzio di bonifica del corso fluviale intero, con carenze gravi, versamenti in bolletta e il problema sempre costante, sempre più grave. 

«Sono tre tappi», spiega uno dei lavoratori-imprenditori del luogo. «Uno in un punto diverso dall’altro, deviano il fiume, lo bloccano di fatto e diventa una bomba a orologeria». Per ogni acquazzone o sequenza di piogge, il livello del fiume si alza e minaccia gli argini, già sospesi per una cattiva manutenzione di letto e fondali, di costeggi e guadi. «Se il fiume si gonfia, questa roba invade terre e case. Rischiamo per lavoro e agricoltura ma anche per noi stessi». Il tempo in cui la terra Italia perde pezzi e viene travolta da piene, smottamenti e frane violente, rende tutto incerto. La voragine idrogeologica si complica per l’inquinamento. «Le plastiche, i calcinacci dell’edilizia, i materiali pericolosi. C’è tutto- spiega il residente- bisogna intervenire urgentemente». La salute del fiume ha interessato almeno cinque governi, con la nomina di un commissario per la bonifica, finanziamenti su finanziamenti, lavori e azioni sempre svuotate di senso, abbandonate come il destino del grande corso d’acqua. 

 «A Scafati sembra di stare su marte tanta è la puzza- spiega un signore- l’acqua alta dell’autunno mette paura». Stessa storia per gli affluenti, per le aree agricole dell’intero Agro nocerino, di cui il Sarno dovrebbe essere linfa, sangue, vita. E invece. «Invece qui abbiamo plastiche ovunque, come scogliere artificiali, isole, o non so cosa». Eppure un tempo queste acque erano navigabili. Eppure il progetto Grande Sarno promette il risanamento. Eppure, c'era una volta un fiume. 

 

 

 

 

 

 

Alfonso Tramontano Guerritore