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Ultimo aggiornamento il 15/05/2024

Saleincorpo

Un'idea di Carlo Meoli

L'articolo 21 della Costituzione

Dove muore il diritto di cronaca, muoiono democrazia e libertà. Succede in Turchia, con l’ergastolo per sei giornalisti, già in carcere da anni, accusati di aver sostenuto il golpe dell’estate 2016. Succede in Messico, dove muoiono reporter per aver lavorato alla guerra dei narcos. Succede sui fronti di guerra, dove il pericolo è conclamato. Succede negli Stati Uniti, dove il presidente addita giornali e tv in base ad una discutibile classifica delle fake-news. Succede, con forme meno rumorose, a casa nostra. Dove il silenzio e le informazioni orientate pagano.

 

E’ il sedici febbraio 2018 quando la bomba-De Luca esplode in piena campagna elettorale. Dove un cronista della testata online Fanpage ha curato un’inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti avvalendosi di un boss della camorra, già collaboratore di giustizia, nel ruolo di “agente provocatore”. Il boss in questione recita il ruolo di uno smaltitore di fanghi, proponendo affari, tra gli altri, a Roberto De Luca, assessore a Salerno e figlio del governatore della Campania. Subito dopo aver diffuso il video, la Procura di Napoli ha perquisito la sede del giornale web per otto ore, iscrivendo nel registro degli indagati il giornalista e il direttore. Un'altra deflagrazione mediatica, anch’essa molto legata alla imminente competizione elettorale, riguarda i rimborsi non restituiti dei parlamentari cinquestelle: anche in questo caso, la tempistica e l’intensità sono state amplificate dalla competizione politica. La questione è spinosa: il malaffare dei governanti e dei potenti resta l’obiettivo numero uno della stampa. I tempi del Watergate e dei Pentagon Papers, magistralmente raccontati al cinema con Tutti gli uomini del presidente e The Post, cambiano senza che mutino le questioni chiave dei diritti e dei principi. La diffusione delle notizie sensibili, intese come qualunque informazione pericolosa per il potere e per chi ha interessi privati o illeciti, è sacra.Il problema riguarda l’equilibrio tra potere ed editoria, con rischi elevatissimi a seconda del dove si lavora. Nel nostro paese un diffuso condizionamento nei fatti per gran parte dell’informazione su carta, web, social e tv, con le grandi inchieste svolte dal giornalismo indipendente, dall’informazione 2.0 e da redazioni modello Le iene, Propaganda, Report o Presa diretta.  

 

 

 

L’editoria pura è finita: questo vuol dire che le grandi proprietà editoriali condizionano l’operato delle rispettive aziende, finalizzate all’utile, in primis, ma anche a connivenze e interessi intrecciati con la politica. Questo avviene su larga scala, per quanto riguarda i gruppi editoriali che radunano tv, giornali nazionali e locali, e su piccola, con interessi diffusi più o meno chiari. Se un piccolo quotidiano affronta una notizia che coinvolge un importante sponsor pubblicitario, un imprenditore amico o lo stesso proprio editore, come la mettiamo? Piccola, al massimo media, visibile per non fare brutta figura. Tradotto, significa che l’articolo o il servizio saranno mirati a limitare i danni conservando la dignità. Ma in contesti di provincia, capita spesso che la notizia sparisca. O venga “combattuta”, gridando al complotto o screditando con campagne al contrario.  

La vera domanda riguarda il pane: chi può mai scrivere contro il proprio datore di lavoro? Quale proprietario, o peggio, quale padrone, lascerebbe circolare notizie dannose per sé o per i propri soci/amici? Il caso di Carlo De Benedetti è emblematico: il formalmente ex presidente del gruppo L’espresso, al centro di un caso giornalistico per il piano-banche del Governo, è finito su tutti i media, compresi i suoi, per poi sparare a zero sul suo ex direttore e sui suoi ex-dipendenti in diretta tv. In tempi di restringimento delle possibilità di lavoro, il giornalismo si reinventa perché non ha alternative. La notizia, quella vera, crea problemi. Altrimenti è una cronistoria superficiale. Lo spazio per continuare ad esercitare il diritto d’informazione, la tanto sbandierata libertà di stampa, esiste. Riguarda realtà isolate. Per la stampa il modello è Il Fatto quotidiano, che punta al rapporto diretto con i lettori attraverso forme di sostegno. Un’alternativa è l’azionariato. Cento, mille soci pronti a chiedere verità attraverso il lavoro di raccolta e trattazione delle notizie. Proponendo inchieste. Contribuendo. Con web, per ora, a costituire un rifugio, benché affollato da un’offerta infinita dove il lettore ha bisogno di tempo. Il lavoro di ricerca punta sul crowdfunding. In altri casi, grandi partnership editoriali internazionali si coalizzano per aprire forzieri di informazioni di grandissimo rischio, come per il caso Panama papers o Wikileaks.

 

 

Tornando a noi: La questione rimborsi dei Cinquestelle, autoprofessatisi puri, duri e senza macchia, è una notizia gonfiata ad arte, ingigantita dal reflusso del circuito politico-mediale. Lo sbaglio dei mancati versamenti dei parlamentari riguarda delle bugie, accertate ma residuali, per una iniziativa encomiabile che gli altri partiti si sono sognati di realizzare. Invece l’affare rifiuti finito al centro del lavoro di Fanpage puzza. Ed è il caso di dirlo. Dubbi e questioni di metodo, dietrologie in sospeso, sono secondarie rispetto al fine del pubblico interesse. I problemi, le censure della magistratura, significano che siamo in un territorio difficile. Che comprende errori e superamento di alcuni limiti. Infine, va ricordato che molti giornalisti in questo scenario impazzito lavorano per pochi spiccioli o gratis. Rischiando botte, processi, risarcimenti. Onore a loro. Le regole di lavoro sono le stesse. «Studia. Vai. Chiedi. Guarda. Sistema. Scrivi».

 

 

 Alfonso Tramontano Guerritore