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Ultimo aggiornamento il 03/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Nel 2023 l’8,5% delle famiglie residenti in Italia, pari a 2,2 milioni di nuclei in cui vivono 5,7 milioni di persone, era in povertà assoluta. È il livello più alto di sempre, quello che emerge dalle stime preliminari dell’Istat diffuse lunedì: l’anno prima la percentuale si era fermata all’8,3% e le persone coinvolte erano 5,6 milioni. I minori coinvolti sono saliti a 1,3 milioni, il 14%. Da notare che il risultato ancora non sconta l’abolizione del reddito di cittadinanza, scattata solo nel 2024. Particolarmente preoccupante è l’esplosione della povertà estrema tra i nuclei in cui la persona di riferimento è un lavoratore dipendente: l’incidenza ha toccato il 9,1%, dall’8,3% del 2022, riguardando oltre 944mila famiglie. Segno che è fuori controllo l’emergenza dei bassi salari, complice l’inflazione che falcidia il potere d’acquisto.

La povertà assoluta, nella definizione dell’istituto di statistica, è l’impossibilità di sostenere la spesa necessaria per acquistare un paniere di beni e servizi essenziali per una vita accettabile. Il lieve aumento rispetto al 2022 dipende interamente dal peggioramento delle condizioni delle famiglie al Nord e al Centro: se infatti nel Sud la quota di nuclei in povertà è scesa dal 10,7 al 10,3%, al Nord è salita dal 7,5 all’8% e al Centro dal 6,4 al 6,8%. La povertà assoluta cresce tra le famiglie con persona di riferimento occupata, dal 7,7% del 2022 all’8,2% del 2023, raggiungendo il valore più alto dell’intera serie storica, dal 2014. Ad essere più colpite sono come sempre le famiglie più numerose e quelle con figli minori. Cambia, invece, l’incidenza della povertà per fasce di età: nel 2023 valori lievemente più elevati (11,8%) sono stati osservati per i nuclei in cui la persona di riferimento aveva tra i 18 e i 34 anni, seguiti da quelli con “capofamiglia” tra i 35-44 (11,7%), che nel 2022 erano i più a rischio. Gli over 65 (6,2%) restano la fascia di popolazione meno coinvolta.

Il governo intanto continua a ignorare il tema del lavoro povero. Nelle stesse ore in cui l’Istat diffondeva i dati la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando dal Molise, ribadiva che “la ricchezza non la crea lo Stato, il lavoro non si crea per decreto, la povertà non si abolisce per decreto. Lo Stato deve mettere aziende e lavoratori nella condizione di lavorare al meglio”. Un ragionamento che cozza con il dilagante fenomeno dei working poor, persone che non superano la soglia di povertà nonostante siano occupate, che induce a interrogarsi sulla qualità dei posti di lavoro creati negli ultimi tempi. L’Italia è del resto, storicamente, uno dei paesi con i salari più bassi dell’area euro e quello in cui le buste paga hanno perso più potere d’acquisto negli ultimi anni a causa dell’inflazione.Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro nella segreteria nazionale del Pd, sottolinea i “due drammatici record relativi al lavoro povero“, cioè la crescita della povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata e soprattutto tra quelle in cui la persona di riferimento è un lavoratore dipendente. “Lavoro e povero non devono più stare insieme”, attacca. “Per questo continueremo a batterci per il salario minimo legale“.

La capogruppo del M5S in commissione Lavoro alla Camera Valentina Barzotti evidenzia poi che “al Nord le persone povere sono quasi 136mila in più rispetto al 2022 mentre l’incidenza di povertà assoluta individuale per i minori è pari al 14%, il valore più alto della serie storica dal 2014”. Numeri che “testimoniano il totale fallimento delle politiche di questo governo”, che ha abolito il reddito di cittadinanza. Di dati “drammatici e vergognosi, non degni di un Paese civile”, parla il presidente dell’Unione nazionale consumatori, Massimiliano Dona.