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Ultimo aggiornamento il 01/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

 

E’ diventata una battaglia di bandiera per il Governo Meloni l’abolizione del reato previsto dall’art. 323 del Codice penale, l’oramai celeberrimo abuso di ufficio. Norma che non ha avuto una vita facile, oggetto a più riprese di modifiche sostanziali, l’ultima del 2020, che hanno avuto l’obiettivo di cercare di definire meglio i contorni di una fattispecie formulata in maniera effettivamente troppo generica. 

I sostenitori dell’abrogazione del reato, fondano la loro tesi sulla necessità di evitare la paralisi amministrativa, ovvero di eliminare la “paura di firma” da parte degli amministratori pubblici, intimorititi da una eccessiva genericità della formulazione della norma incriminatrice. Non è un caso che a favore della eliminazione di questo reato si siano pronunciati quasi tutti i sindaci italiani, a prescindere dal colore politico.

Tuttavia, come spesso capita nei dibattiti sulla giustizia penale, l’eco della discussione è di gran lunga superiore alla effettiva rilevanza dell’argomento. Le cifre ci dicono che i procedimenti iscritti per il reato di abuso di ufficio sono davvero pochi rispetto alla marea di procedimenti che ogni anno si iscrivono presso le Procure italiane. Chi scrive svolge il ruolo di direttore amministrativo in una Procura piccola, ma di frontiera. quale è quella presso il Tribunale di Nocera Inferiore: ebbene dal 2018 al 2022 il numero di iscrizioni per il reato di abuso di ufficio è pari allo 0,5 del totale dei procedimenti iscritti contro persone note. Probabilmente questa percentuale si innalzerà nelle Procure metropolitane, ma non credo di molto. Dunque, nessuna funzione deflattiva e di accelerazione dei tempi dei processi potrà avere l’abrogazione di questo reato. C’è da aggiungere che quasi mai un procedimento viene iscritto esclusivamente per la violazione della norma che punisce l’abuso di ufficio, ma quasi sempre ad esso si accompagnano altri reati (in particolare i reati di falso).

Altro argomento che viene addotto a favore dell’abrogazione è quello dell’irrilevante numero di condanne sovrastato da un consistente numero di archiviazioni. Si dimentica però di dire che tale andamento riguarda tutti i procedimenti iscritti presso le Procure, non solo quelli relativi ai reati contro le Pubbliche Amministrazioni. Va ricordato che la stragrande maggioranza dei procedimenti penali è originato d denunce di soggetti privati: l’elevato numero di archiviazionI è dunque una garanzia sul filtro che le Procure svolgono rispetto a denunce spesso pretestuose o prive di fondamento giuridico. L’argomento delle poche condanne, paradossalmente, dovrebbe coerentemente indurre a sostenere l’abrogazione dell’intero Codice penale.

Abolire il reato di di abuso di ufficio, dunque, è quasi del tutto irrilevante e diventa una delle tante, troppe battaglie politiche nella infinita guerra tra Politica e magistratura che da oramai da più di 30 anni affligge il nostro Paese. L’art.323 del Codice Penale è il nuovo confine tra una classe politica che non ha mai sopportato il controllo, a volte effettivamente troppo invadente, di certe azioni giudiziarie, e una magistratura che, anche attraverso la Giurisprudenza, ha tentato di allargare i confini di una norma di difficilissima interpretazione e applicazione. 

Sul campo di battaglia l’unico che rischia di cadere è il cittadino: a chi dovrà chiedere tutela chi sarà immeritatamente scavalcato dall’amico degli amici in una graduatoria di un concorso? Si dirà: “c’è sempre un giudice a Berlino!”, e se non si potrà più denunciare, certamente si potrà chiedere al Tar di annullare il concorso. Peccato che ricorrere a questo Giudice costerà sicuramente parecchi soldi rispetto a una denuncia che si può scrivere anche da soli. In questo caso o in altri simili, otterrà il riconoscimento dei propri diritti solo chi potrà permetterselo economicamente? La risposta non può che lasciare un senso di amarezza in chiunque abbia a cuore lo Stato di diritto.