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Ultimo aggiornamento il 01/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Lo dicono in tanti, ma di fronte agli ultimi drammatici dati si resta basiti: il Covid ha fatto "dimenticare" le altre malattie e vengono rinviati interventi e terapie. Ecco un'inchiesta di Natascia Ronchetti pubblicata sul Fatto.

 

L’altra faccia dell’emergenza sanitaria si è palesata all’inizio dell’estate. Screening oncologici saltati, visite specialistiche rinviate, ricoveri per interventi chirurgici sospesi: è la paralisi delle cure delle patologie non Covid. Travolto dall’epidemia, il sistema sanitario ha messo in stand by la prevenzione e ha congelato l’assistenza ai pazienti affetti da altre malattie, risparmiando solo le urgenze. Tra gennaio e giugno 2020, rispetto agli stessi mesi del 2019, sono crollati del 40% i ricoveri programmati: 309mila in meno (oltre 230mila sono le operazioni chirurgiche non eseguite). Gli screening oncologici, per diagnosticare tumori, si sono dimezzati. Le prescrizioni mediche per le visite specialistiche: giù del 58% (il che equivale a quasi 29 milioni di prestazioni in meno, tra accertamenti diagnostici e visite).

Nessuna regione è riuscita a sottrarsi allo stallo. E – paradossalmente – non sempre i ritardi e le cancellazioni sono stati proporzionali all’intensità di diffusione dei contagi, al numero dei malati Covid ricoverati, alla fortissima pressione sulle terapie intensive. Sì, perché anche nelle aree del Paese maggiormente risparmiate dalla prima ondata epidemica, è stata issata la bandiera bianca. Parliamo di regioni come la Basilicata, dove le prestazioni specialistiche, da gennaio a maggio, sono diminuite di oltre il 60%. Come la Puglia (meno 30%) o la Sicilia (un crollo del 28%). Oppure, ancora, come la disastrata Calabria (meno 41%) e la Sardegna, dove le prestazioni specialistiche hanno subito una flessione del 32%.

Secondo le stime dell’Osservatorio nazionale screening anti tumori, il blocco non ha consentito di diagnosticare quasi 4.300 carcinomi, tra quelli al seno (oltre duemila), alla cervice (1.675), al colonretto (611). I numeri, impressionanti, arrivano dal report di Salutequità, l’associazione – appena costituita – nata per monitorare la qualità delle politiche pubbliche in ambito sanitario e sociale. E con l’arrivo della seconda ondata epidemica – che ha stoppato il recupero delle liste d’attesa accumulate in primavera – difficilmente si potrà tornare alla normalità prima della fine del 2021. “Si è di nuovo fermato tutto”, conferma Tonino Aceti, presidente di Salutequità. “Dovranno essere aumentate le risorse per il personale. Ma anche con un rafforzamento ci vorrà comunque almeno un altro anno per recuperare”.

I medici, in realtà, segnalano il problema da tempo. Dicono che, di fatto, è stato compromesso il diritto costituzionale alla salute, che il Covid ha alzato barriere nell’accesso alle cure, penalizzando le categorie più deboli. “La pandemia non ha mandato in lockdown le altre malattie”, dice Filippo Anelli, presidente nazionale della federazione degli Ordini dei medici. “Al contrario, sottraendo risorse organizzative, finanziarie e umane alla loro cura, ha aumentato le disuguaglianze. Per questo, oltre alle vittime dell’epidemia, dobbiamo cominciare a contare anche tutte le vite perse in maniera indiretta, per patologie non curate in tempo o nel modo più appropriato”. Patologie – si va dai tumori alle malattie a carico del sistema circolatorio e respiratorio – che ogni anno uccidono mediamente (dati Istat), 650mila persone. “Sono in gioco – prosegue Anelli – la tenuta stessa del sistema sanitario, la salute di 26 milioni di malati cronici, quella di tutti gli italiani colpiti da altre malattie”.

Nemmeno regioni con sistemi sanitari considerati da sempre delle eccellenze ce l’hanno fatta a contenere i danni. In Emilia-Romagna le prestazioni specialistiche sono diminuite del 33%, in Veneto del 23%, in Lombardia del 39%. Solo la Campania è riuscita a fermarsi a un meno 10. Quanto agli screening oncologici si sono sommati mesi di ritardo. Nessuna regione è riuscita a mettere un freno alla rovinosa riduzione degli esami per diagnosticare i tumori alla mammella (si va dal meno 40% della Toscana a un crollo di oltre il 70% in Calabria), né a quelli relativi al carcinoma al colonretto: la flessione media nazionale sfiora il 55%, con punte superiori al 60% in Liguria, Piemonte, Calabria. A loro volta gli screening per il tumore alla cervice si sono più che dimezzati in quasi tutte le regioni. Alcune, come la Lombardia, l’Emilia-Romagna, la Liguria, hanno anche superato la soglia di una contrazione oltre il 60%. “La mancata correlazione tra la diffusione dei contagi e lo stop alle attività ordinarie di prevenzione e assistenza – spiega Aceti – si può spiegare in molti modi, che vanno dalla scarsità del personale sanitario a disposizione, tra medici e infermieri, all’incapacità dell’amministrazione regionale. Anche se alcune regioni meno colpite dalla pandemia potrebbero aver bloccato ricoveri e visite non Covid in previsione di un’ondata. Ma dobbiamo pensare anche al resto”.

Alla paralisi si aggiungono i ritardi di non poche regioni nella presentazione al ministero della Salute dei piani operativi per il recupero delle liste d’attesa, sulla scorta del decreto legge 104, con il quale il governo, in agosto, ha stanziato quasi 500 milioni di euro per sostenere il ritorno alla normalità. In estate, prima che arrivasse la seconda ondata, il ministero pensava di recuperare terreno entro la fine dell’anno. Così non è stato. E va detto che da molte Regioni il piano non è arrivato affatto entro la metà di settembre, come stabilito. Non lo hanno inviato, entro quella data, né la Puglia, né la Sardegna (l’approvazione, in quest’ultimo caso, è arrivata venerdì scorso). Non è stata puntuale l’Emilia-Romagna, che lo ha presentato il 7 ottobre. Ha fatto slittare tutto al 30 novembre la Basilicata. A sua volta il Lazio ha dato il via libera il 27 novembre. La stessa relazione al Parlamento della Corte dei conti, in novembre, ha certificato che “dato l’attuale andamento dei contagi è difficile che si possa effettivamente compiere il recupero delle prestazioni mancate nei mesi” del primo lockdown. “Abbiamo tra le mani – dice Aceti – una bomba innescata che può esplodere da un momento all’altro”.