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Ultimo aggiornamento il 18/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Questo pezzo di Luigi Amati è apparso oggi sul Quotidiano del Sud.

 

«Scusi, chi ha fatto palo?». Basterebbe la domanda disperata del ragionier Fantozzi per capire la centralità nell’epica calcistica del “prendere il palo”: evenienza terribile e disperante, se la si subisce, oppure salvifica e graditissima, quando se ne ricava vantaggio. Costretto dal collega Riccardelli, intellettuale con sciarpone di ordinanza, ad assistere alla proiezione de “La corazzata Potëmkin” mentre si gioca Inghilterra-Italia, Fantozzi in viaggio verso la sala del cineforum ascolta la radiocronaca di Nando Martellini e quando sente “palo”, si arrampica sulla finestra, ne rompre un vetro e fa la fatale domanda, ma si becca un cazzottone in pieno viso. È la dimostrazione lampante che in una partita di calcio, a parte i gol, ci si emoziona solo e soltanto per un rigore sbagliato e, appunto, per un palo. Ma come ogni emozione, positiva o negativa che sia, anche questa ha retroscena tecnici e in quanto tale freddi e regolamentati: per fare gol – l’essenza del calcio – bisogna mettere la palla in porta (ma non ditelo ai catenacciari, per i quali l’essenza è non farla entrare, quella palla in porta), ovvero farle superare quella linea ideale – oggi sorvegliata dalla gol line technology – larga 7,32 metri e delimitata da due bastoni alti ciascuno 2,44 metri e di larghezza non superiore ai 12 centimetri: appunto i due pali. Qui finisce la norma e comincia l’avventura.

Lo spunto è arrivato domenica sera dal San Paolo. La vittoria in extremis contro l’Udinese, a un soffio dall’estrema unzione calcistica dei tre pareggi di fila, ha lasciato il Napoli in una situazione di classifica né carne né pesce, però ha confermato gli azzurri in testa a un’altra classifica, meno piacevole sicuramente: quella del numero di pali e traverse colpiti. Contro i friulani si è infatti toccata quota 50 legni centrati – di Zielinski la firma sulla 50esina - restando così in tal senso la prima squadra nei cinque maggiori campionati europei.E dunque eccoci al palo o ai pali. Eccoci nella sterminata prateria – costellata peraltro dalle più svariate forme di gestualità scaramantiche, anche volgari, se preferite, sì che le preferite – del significato che si attribuisce metaforicamente all’umile palo.

In amore si può prendere (frequentemente) un palo; in una competizione di qualsiasi genere si può restare al palo e non è mai bello; in una festa di paese il palo è quello della cuccagna; tra i malviventi fare il palo ha la sua importanza e del resto Jannacci dedica una canzone a quello della banda dell’Ortica. Ma è nel calcio, lì torniamo, che centrare il palo prende tutto il carico di negatività e di sfiga che un tifoso non riesce mai ad accettare del tutto. Prendete Brasile-Francia del mondiale 1986, quarti di finale in campo il 2 giugno a Guadalajara in Messico. Si va ai rigori dopo l’1-1 di tempi regolamentari e supplementari. Passa la Francia perché l’arbitro convalidò il gol del francese Bruno Bellone nonostante la palla fosse finita in rete dopo aver colpito il palo ed aver rimbalzato sul portiere avversario: era irregolare, perché nel caso di rigori finali il gioco si blocca al momento del palo, e infatti l’anno dopo la Fifa cambiò la regola per evitare problemi.

Ma è il caso di dire che per il Brasile e i suoi tifosi presero davvero un bel palo, metaforicamente parlando. Però il ricordo forse più particolare riguarda solo appassionati calciofili anche molto maturi e soprattutto tifosi napoletani, i soli, probabilmente, a poter ricordare un palo per una volta non di legno, ma di carne e ossa: Francesco Palo da Montecorvino Rovella, meteora azzurra degli anni ’80, passato alla piccola storia del calcio, ahilui, solo per un gol al 90’ che nel campionato 1980/1981 – prima stagione di Krol, Marchesi in panchina, terzo posto finale dietro Juve e Roma sovvertendo molti pronostici – precisamente il 10 maggio, data che solo successivamente diventerà da celebrare, consentì al Napoli di vincere nientepopodimenoche a Como.

Palo ripresa la respinta del portiere e insaccò, ma è rimasto famoso l’intervento di Ciotti in radiocronaca a “Tutto il calcio minuto per minuto”: «Tiro, Palo, no, gol, Palo, ha segnato Palo». A ripensarci strappa ancora un sorriso ed esorcizza tante negatività legate al “prendere un palo”. Perché in fondo è così anche nella vita: se filosoficamente non si sorride almeno un po’ quando arriva il palo, allora si è destinati inevitabilmente a rimanerci, al palo. E non è bello.