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Ultimo aggiornamento il 25/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Da Barcellona ai separatismi di casa nostra. Dalla Catalunya al bisogno universale d’indipendenza. Per visibilità, slogan e provocazione, dal cuore economico del problema spagnolo, con  la Catalunya  stanca di fare da traino al resto della Spagna, la questione locale arriva al referendum lombardo-veneto del prossimo 22 ottobre, sostenuto dai leghisti, a chiedere maggiore autonomia delle due regioni dal governo di Roma. Di certo il braccio di ferro tra il governo spagnolo di Mariano Rajoy e il governo della Generalitat de Catalunya di Carlos Puidgemont, regala vigore ai sogni di secessione in ogni dove. Per sardi, siciliani, veneti e sudtirolesi, l’indipendentismo è parte della loro storia.

 

Ma la Campania negli anni ha segnato il primato delle proposte: a fronte dell’inesistenza di un piano trasporti degno, nel vuoto delle politiche sociali e con l’aumento della desertificazione demografica, qualche anno fa arrivò l’idea del Principato di Salerno. Si trattava di una macro-provincia/micro-regione che ripercorresse i fasti di quel Principato che all'epoca del Sacro romano impero, raggruppando i territori della Lucania, Cilento, Irpinia e Picentini. Il progetto, la cui proposta referendaria nel 2011 ebbe un secco no dalla Cassazione, aveva dalla sua parte b 80 comuni favorevoli sui 158 salernitani, dal Cilento fino all’Agro nocerino sarnese. «Per ragioni storiche, geografiche, culturali ed economiche, la popolazione salernitana è diversa dalla napoletana» affermavano in ogni circostanza i proponenti. Ma chi era il “Principe d’Arechi” che aveva spinto al ritorno del principato? Il parlamentare e colonnello dei carabinieri Edmondo Cirielli, ai tempi presidente della provincia di Salerno, presidente della commissione Difesa alla Camera dei Deputati, autore della rinnegata ex-Cirielli sulla prescrizione, deputato ed esponente di spicco di Fratelli d’Italia. I “feudatari” in quel caso erano  tutti i sindaci che, all’interno del calderone dell’allora PdL, diedero vita a liste ribattezzate “Principe d’Arechi” e iniziative simili. Quell’illusione nel 2012 conquistò la vetta della top ten elaborata dall'Istituto Bruno Leoni sulle proposte più pazze presentate in Parlamento. Al “Principato di Salerno” seguirono più a sud, i progetti della Grande Lucania, per aggregare Cilento e  Vallo di Diano alla Basilicata. Altri, via dalla “zavorra” di Napoli e Caserta, immaginarono unite le province di Avellino, Benevento e Salerno, da chiamare Silenia Terranuova, o l’unione della provincia di Benevento con il Molise, per dar vita al Molisannio. In molti casi progetti simili servono a rivendicare spazio e attenzione sui media, aumentando il peso sul tavolo della trattativa politica. La deputata berlusconiana di Benevento Nunzia De Girolamo, nel pieno delle trattative per la formazione della nuova giunta regionale di Stefano Caldoro, arrivò a minacciare la secessione. «Il Sannio non ha assessori regionali eppure è chiamato spesso ad “aiutare” la regione con discariche e supercarceri. Se non avremo un assessore, siamo pronti ad abbandonare la Campania». Minaccia analoga fu formulata sia nel 2006 che nel 2008 dai sindaci dell’Alta Irpinia, di fronte alle proposte di impianto di una nuova discarica regionale nel territorio di riferimento. Economicamente la creazione di nuovi enti farebbe lievitare certamente i costi dell’amministrazione pubblica. Con un groppo punto interrogativo sugli eventuali trasferimenti di fondi dal governo centrale e dall’Unione europea.

 

Infine, restano i rischi che i micro-secessionismi comportano dal punto di vista politico e sociale. Sulla questione intervenne lo scrittore Pino Aprile, emblema del nuovo meridionalismo, diverso dai movimenti siciliani o neoborbonici. «Anche se possono apparire velleitari – affermava Aprile – questi movimenti sono pericolosi, perché per dividersi, per dar vita a un nuovo territorio, è necessario esaltare le differenze e istituzionalizzarle. E questo processo è destinato ad auto alimentarsi». In un processo che sa dove inizia ma non sa dove va a finire. Come nel cuore diviso dell’attuale questione catalana.

 

ALDO PADOVANO