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Ultimo aggiornamento il 18/06/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Un altro giornalista intercettato con un trojan. Un altro gravissimo episodio che vede una procura aggredire un pilastro del giornalismo: la riservatezza delle fonti.

Stavolta è toccato a Paolo Orofino, giornalista calabrese di lungo corso del Quotidiano del Sud. Nei mesi scorsi (per fatti ben più gravi, visto che le procure di Firenze e Caltanissetta indagavano su personaggi legati a stragi di mafia) è toccato a Michele Santoro, Guido Ruotolo e Massimo Giletti. L’anno scorso la Procura di Trapani ha intercettato Nancy Porsia per i reportage sugli scafisti in Libia. Nessuno dei giornalisti citati era indagato. Con il risultato di risalire alle loro fonti. Non è indagato neanche Orofino quando, nel 2019, la Procura di Salerno ha aperto un fascicolo nell’ambito delle indagini sullo scontro tra magistrati in Calabria. La procura decide di tenere sotto controllo il telefono del cronista che, però, parla poco. Gli investigatori annotano che riceve “notizie riservate (…) con modalità non intercettabili per via telefonica”. Ovvero, adotta le doverose cautele per tutelare le fonti. Così la procura nel gennaio 2020 chiede e ottiene dal gip la possibilità di usare il trojan che trasforma l’apparecchio in un microfono ambientale per “monitorare i contatti e i rapporti tra i due soggetti menzionati che potrebbero fornire un ulteriore elemento di riscontro alle ipotesi investigative in essere circa contatti tra personaggi intranei alla magistratura e soggetti che ottengono notizie riservate”.

Orofino ha scoperto di avere avuto il trojan sul cellulare (per 2 mesi) soltanto pochi giorni fa, analizzando gli atti del procedimento penale (confluiti nel processo disciplinare) a carico di Eugenio Facciolla, procuratore di Castrovillari, che il Csm ha sanzionato con la censura per uno solo dei tre capi di incolpazione, relativo ai rapporti con un suo pm. Il caso è ancora aperto, pendono dei ricorsi. Il magistrato ha dovuto difendersi in sede disciplinare anche dall’accusa di aver tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti dell’allora procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri.

Uno dei capi di incolpazione dai quali Facciolla è stato assolto riguardava i suoi “stretti rapporti” con Orofino, utilizzati “al fine di perorare la propria versione dei fatti penali e disciplinari che lo riguardavano”. Informando Orofino, tra l’altro, che “nel procedimento penale avrebbe citato come testimone Nicola Gratteri, apostrofato dal giornalista con il nomignolo ‘Cicciobello’”. Chiarito al Csm da Orofino (e confermato da altri testi) che ‘Cicciobello’ non era Gratteri, il giornalista ha spiegato che tra lui e Facciolla c’erano le normali relazioni tra un cronista e un procuratore capo. Peraltro, per legge, l’unico magistrato titolato ad avere rapporti coi cronisti è proprio il procuratore capo. Resta il fatto che la Procura di Salerno, all’epoca guidata dal vicario Luca Masini, ha monitorato il cronista attraverso un software pensato per i cellulari di boss e di corruttori, per scoprire traffici di droga e omicidi. In questo caso è stato messo sullo smartphone di un giornalista nemmeno indagato. Come confermato a Orofino dalla risposta ufficiale firmata dal procuratore Giuseppe Borrelli, “Il suo nominativo – si legge nella Pec – non risulta tra quelli iscritti nel procedimento penale già trattato da questo ufficio”.