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Ultimo aggiornamento il 03/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Mentre la sanità pubblica viene smontata, i privati hanno capito che la salute può essere un terreno fertilissimo per nuovi profitti. Non si spiegherebbe altrimenti l’espandersi dei gruppi di sanità privata e l’interesse di molte imprese, da Unipol a Exor, a investire in questo campo. È proprio dell’altro giorno la notizia della nascita di un Pronto Soccorso privato nella Bergamasca. La legge 833 e l’entusiasmo che l’accompagnò nell’istituire il SSN sono uno sbiadito ricordo. Il “pubblico” è stato progressivamente depauperato di risorse e mezzi, fino al collasso di oggi. Con i tagli delle strutture, anche quelle essenziali come i Pronto soccorso, e dei posti letto, con il mancato turn over del personale medico e non, con l’assenza di concorsi che quando ci sono non di rado vanno deserti per il divieto ai neolaureati di parteciparvi: un’assurdità, inesistente fino agli anni 90 che, insieme a quell’altra dissennatezza di tenere il numero chiuso a Medicina, impedisce di far fronte alla drammatica assenza di medici.

Questo contesto ha accresciuto l’attenzione dei privati per la sanità, un interesse favorito dalle politiche di alcune regioni italiane pronte a fare ponti d’oro con i soldi pubblici alle strutture che andavano nascendo in concorrenza con il sistema pubblico; e che grazie anche ai soldi dello Stato spesso si sono dotati di uomini e mezzi di cui ospedali e ambulatori pubblici non potevano dotarsi proprio per mancanza di fondi: un dannato circolo che rischia di spingerci verso il modello sanitario americano, così iniquo e classista.

Secondo la benemerita Fondazione Gimbe, nel 2021 in Italia le strutture private accreditate ospedaliere sono state 995, il doppio rispetto a dieci anni prima. Nello stesso decennio 2011-2021 sono aumentate moltissimo anche quelle di specialistica ambulatoriale (da 5.587 a 8.778), quelle per l’assistenza residenziale (da 4.884 a 7.984) e semiresidenziale (da 1.712 a 3.005) nonché le strutture riabilitative (da 746 a 1.154). È una crescita senza precedenti che secondo la stessa Gimbe occorre contrastare se si vuole rilanciare il servizio pubblico, sia normando con urgenza l’integrazione pubblico-privato, sia magari riordinando pure la normativa sui fondi sanitari, “oggi un vero e proprio ‘cavallo di troia’ che dirotta su assicurazioni e sanità privata risorse pubbliche provenienti dalla defiscalizzazione dei fondi sanitari”. Sia ancora ripristinando l’esclusività del rapporto lavorativo dei medici con il sistema pubblico, mettendo fine alla vergogna di chi tiene il piede in due scarpe: nel pubblico per farsi un nome e nel privato per fare soldi.

Ma questo governo sembra sordo a tutto questo. Per il triennio 2023-25 ha previsto un’ulteriore riduzione della spesa sanitaria e del rapporto di questa col Pil. In Europa il nostro Paese è il fanalino di coda per spesa pro capite delle nazioni cosiddette avanzate e nel mondo è al di sotto della media Ocse. Universalità e uguaglianza, i princìpi fondamentali del SSN, sono stati traditi e ora le parole chiave, come afferma Nino Cartabellotta, sono le infinite liste di attesa, l’aumento della spesa privata, le diseguaglianze di accesso alle prestazioni, la migrazione sanitaria o addirittura la rinuncia alle cure. Da oltre un ventennio non c’è più un progetto per la sanità pubblica.

Anzi, il progetto c’è stato ed è stato quello di tagliare e basta: per cui si sono chiusi i reparti e i Pronto soccorso degli ospedali piccoli ma non si sono potenziati quelli dei più grandi, proprio quando aumentava la vita media e la popolazione anziana. Peggio: sono stati tagliati posti letto e personale anche nelle strutture più grosse, con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. La difesa della sanità pubblica ormai è una battaglia essenziale se vogliamo restare un Paese civile.