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Ultimo aggiornamento il 19/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Inchieste/846

Pagani è la città dell’Agro dove il fenomeno-droga ha i numeri più alti. O'Sistema, gruppo organizzato con capi, corrieri, gregari e vedette, per tre anni ha convertito un pezzo di centro storico, nel cuore della Lamia allo smercio di cocaina e crack, con una vendita di dodici ore al giorno e offerta collaterale di hashish e marijuana.

 

 

«Vieni llà-bbasc. Fatti il giro. Quanto devi prendere? Dammi i soldi. Solo un pallino addosso e niente più. Lo hanno trovato, quei bastardi. Alle quattro di notte ancora veniva gente». 

 

 

 

In città polizia e carabinieri hanno messo insieme oltre 100 procedimenti per spaccio nel 2016-2017, divisi tra arresti e denunce, con altrettanti sequestri di cui oltre venti superiori al mezzo chilo, compresi i 50 kg di hashish bloccati al mercato ortofrutticolo la scorsa estate, arrivando al blitz di fine ottobre. Al calcolo vanno aggiunte le basi con droga e armi da guerra scovate nel groviglio della Lamia, nel 2015, e nella zona dello stadio, la scorsa primavera. Con decine di fatti singoli sparpagliati nel territorio comunale. Il blitz ultimo contesta l’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio quattro anni dopo l’inchiesta Taurania Revenge del 2014, che seguiva a sua volta l’indagine Taurania del 2008: allora la Dda ipotizzava l’esistenza di un clan, il gruppo Fezza-Petrosino, mentre ora O'Sistema appare indipendente, sulla carta, con la gestione affidata a due storici personaggi, già contigui alla stessa cosca. 

 

A Pagani le periferie del Parco Arancio-Bronx, insieme al quartier...

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Nell’ora solare che si perde dalla conta, tempo che non esiste più, ultima notte di ottobre appena prima di ognissanti, il vento è alto. Il mare si fa bianco fino ai parabrezza, come piovesse a lato. Non c’è anima in giro. Francesco Di Bella torna con “O diavolo”, nuovo disco e nuovo passaggio, nuovi fantasmi e affetti, a due anni da "Nuova Gianturco", milleuno concerti dopo, col cuore sempre cantastorie e le parole a punta, dolci, barricate. Sento i nove pezzi in macchina, lungo le corsie libere delle statali, infilando il nulla e poi le strette, fino ai vicoli presidio di vedette, con gli occhi svegli dello spaccio full-time, passando tra i crocicchi di ragazzi ai bar, come riquadri a mezzogiorno, del tutto fuori da ogni luogo. E ascolto, mentre tasti e corde parlano di voi e di me.E non mi sento solo. 

 

Il mondo...

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Al servizio della città, con la materia del cemento e dei piloni, al tempo dei crolli e della paura che sgretola il mondo, si erge sul mare, fino al mare di Salerno il viadotto del poeta. Uno stradone “Alfonso Gatto” è un biglietto per gli stradari, una precisa indicazione di rotta, una enorme costruzione viaria sotto le ruote distratte dei guidatori, dei mezzi diretti al porto, al di qua e al di là delle acque. Questo poeta, quest’uomo scrittore cantore, cos’era mai stato per darne il nome alla linea obbligata di un raccordo? Che aveva mai fatto, su carta o pensieri, per la memoria d’eterno, magari, sulla struttura di asfalto, neanche di marmo? 

 

 

Tra la cima e la riva della città, l’opera realizzata nel 1980 porta il nome dello scrittore, giornalista e poeta salernitano con la grazia di una scelta discutibile. Ora che affligge i collaudi e i lavori di controllo, ora come sempre il ponte non ospita gente, non accoglie passeggio o discorsi, non proietta che strutturalmente file e file di scarichi e passaggi veloci. Non ha cuore, non ha senso della comunità che vorrebbe un poeta. Parlando di urbanistica, Gatto scriveva sul tema auspicando ogni opera di architettura «proiettata a rendere più piacevole la vita degli uomini e delle donne che vivono e fanno la città». E nessuno siede e conversa a suo nome, non c’è una panchina o una stanza di libri, un teatro. Uno spazio. Certo, quale migliore ambizione di una sopraelevata? Quale onore più alto? È evidente. 

 

 

Il destino del viadotto è ora sottoposto alle perizie tecniche, per le ragioni della sicurezza, per la sua tenuta e gli interventi necessar...

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Daphne è esplosa, morta, uccisa da un’autobomba piazzata per disperderne la voce e gli scritti. Il pomeriggio di un anno fa è saltata in aria appena uscita di casa. Lei era una giornalista che ora lega il suo nome all’isola di Malta, dove aveva vissuto assediata da chi non voleva sentire niente delle proprie malefatte, da chi aveva carte coperte ora messe a nudo in un effetto al contrario. Dietro la deflagrazione del suo corpo distrutto, dello strazio e del sangue, c’è una rabbiosa reazione del crimine, di quelli che finivano nei suoi lavori, sul suo blog, sotto forma di notizie, di inchieste, di corruzione diffusa, di affari ricchi e gangli politici e bancari. Aveva scoperto come acquistare un passaporto europeo a Malta, un visto, una cittadinanza per uomini in grado di pagare profumatamente un lasciapassare. Aveva scoperto i fiumi di denaro sporco che arrivavano a ...

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Non abbiamo mai creduto alla storia di una camorra con regole a fronte del carnaio odierno. Abbiamo sempre pensato che chi delinque va colpito e messo in condizione di non nuocere. Nessuna pietà per chi uccide.

Eppure due episodi recenti ci hanno scosso. Improvvisamente Antonio Pignataro, sanguinario killer, racconta di avere preso parte all'agguato in cui venne uccisa la povera Simonetta Lamberti. Naturalmente, a fronte di una confessione del genere, gli inquirenti cercano riscontri. Peccato che Pignataro indichi come complici tutte persone che, nel corso degli anni, sono morte.

Il secondo caso è quello di Macario Mariniello, un altro assassino. Appena qualche giorno fa, in aula, ha confermato di avere fatto parte del commando che ammazzò l'avvocato Giorgio Barbarulo. Anche lui, però, sostiene che a sparare è stata un'altra persona anche questa, naturalmente, morta.

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Questa è la storia di un corpo scomparso. La storia della morte di un trentenne tossicodipendente diventato un fantasma dal momento dell’arresto fino al giorno della sua morte, la settimana dal 15 al 22 ottobre 2009, raccontata dal film "Sulla mia pelle".  È la storia di una fine, di un dolore, e di una lunga guerra fatta per ricostruirla. Per tornare ad una nuova vita. Attraverso i processi, la memoria, e la pellicola diretta da Alessio Cremonini.

Il geometra romano Stefano Cucchi viene arrestato con venti grammi di hashish e della cocaina. Subisce un pestaggio che gli causa ferite evidenti e la rottura di due vertebre. Passa dalla stazione carabinieri Casilina al carcere Regina Coeli, poi all’ospedale Fatebenefratelli e infine al Pertini, nel reparto detenuti. Ma dal momento delle botte subite, che lo trasformano in un enorme ematoma, la s...

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