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Ultimo aggiornamento il 18/06/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Inchieste/873

L’associazione a delinquere? Dall’ampia istruttoria non è emerso nulla “per ritenere provati nessuno degli elementi che, nella pratica giudiziaria, vengono valorizzati per dimostrare l’esistenza di una struttura associativa”. La truffa? “Manca la prova degli elementi costitutivi il reato”. Il peculato? “Non è configurabile per la gestione e destinazione di somme di provenienza pubblica, anche dopo la loro corresponsione, quale corrispettivo del servizio, pattuito a seguito di apposito contratto e prestato”. Quella della Corte d’Appello di Reggio Calabria non è solo una sentenza che ha cancellato la pena a 13 anni e 2 mesi di carcere inflitta in primo grado a Mimmo Lucano che così è stato assolto da tutti i reati gravissimi che gli venivano contestati dalla Procura di Locri: numerosi abusi d’ufficio, diversi falsi, truffa aggravata, peculato e, soprattutto, l’essere il promotore di associazione a delinquere che aveva lo scopo di commettere “un numero indeterminato di delitti (contro la Pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio) legati alla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti. Nonostante la condanna per un falso (relativo una delle 57 determine, firmata nel 2017, contestate dall’accusa in uno solo dei 19 capi di imputazione), le motivazioni dei giudici di secondo grado sono una sorta di “riabilitazione di Lucano” che su richiesta della Procura di Locri nell’ottobre del 2018 era stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta “Xenia” condotta dalla Guardia di finanza.Finito prima ai domiciliari e poi a un lungo periodo di esilio, durato un anno, Lucano ha affrontato due processi. Nel 2021 il Tribunale di Locri lo ha condannato a una pena pesantissima per quasi tutti i reati che nel 2023 la Corte d’Appello ha cassato quasi in toto, a parte un fa...

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In Italia, in tutta Italia, da mezzo secolo migliaia di persone sono morte sul posto di lavoro. L'11 aprile del 1975, esattamente 49 anni fa, esplose una fabbrica a Sant'Anastasia, la Flobert. Persero la vita dodici persone, solo una si salvò. Da allora poco o nulla è stato fatto per garantire ai lavoratori il diritto alla sicurezza. Questa è la narrazione di quello che accadde. Senza fronzoli, senza retorica. I fatti asettici valgono di più della pelosa indignazione.

 

11 aprile 1975. Passata ora di pranzo. A Sant’Anastasia si sente un boato. La fabbrica Flobert, che produce proiettili d’arma giocattolo e fuochi d’artificio, è esplosa. Dodici le vittime, tutte giovani. I capannoni erano situati in contrada Romani, alle pendici del Monte Somma. Sono tanti ad accorrere sul luogo della sciagura. Molti temono per la vita dei propri cari. “Nun se capette ‘niente”, dirà Cir...

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Abbiamo sempre ritenuto che dietro la crisi del giornalismo ci sia soprattutto la sostanziale perdita di credibilità della categoria. L'episodio che si è verificato a Repubblica, ignorato quasi da tutti, ne è un esempio lampante. Ecco i fatti.

 

Centomila copie mandate al macero, nella notte, per un articolo sgradito – e sostituito – sugli asset Roma-Parigi, tra cui il ruolo del governo italiano con Stellantis. È la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha portato la redazione de la Repubblica a sfiduciare il direttore Maurizio Molinari, col quale i rapporti erano deteriorati da tempo. L’inserto economico del giornale, Affari&Finanza, sarebbe dovuto uscire stamattina con un’apertura, firmata da Giovanni Pons, sui legami sbilanciati tra Italia e Francia in tema di politica industriale. Ma nella notte, quando il quotidiano era già stato stampato, le copie sono state distrutte e il pezzo di Pons sostituito con quello del vicedirettore Walter Galbiati: a cambiare sono il titolo, il catenaccio e parte del testo.

 Così nel pomeriggio il comitato di redazione ha proposto la mozione di sfiducia nei confronti di Molinari. L’esito del voto dei giornalisti e delle giornaliste – seppur non vincolante – è stato schiacciante. Molinari potrà restare al suo posto come successo in passato, per esempio, con Fabio Tamburini (2020) e Gianni Riotta (2011), entrambi al Sole24Ore. Il grave episodio, per il quale nel primo pomeriggio è stata convocata l’assemblea con tutti i giornalisti, arriva dopo le tensioni interne sul caso Ghali, costato una figuraccia al giornale: durante il Festival di Sanremo, Molinari bloccò (questa volta un secondo prima della stampa) un’intervista all’artista Ghali – una sorta di messaggio di pace sulla guerra a Gaza – ...

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Ci sono forme di inquinamento letale di cui si parla ancora poco, ma sono micidiali. Il caso Pfas è uno di questi. L'allarme è stato lanciato di recente da Greenpeace. Si legge in una nota: "A fine novembre 2023 il professor Philippe Grandjean, esperto di fama mondiale sugli impatti sanitari dei Pfas (composti poli e perfluoroalchilici), durante il processo in corso in Veneto per disastro ambientale che vede sul banco degli imputati alcuni ex dirigenti della Miteni, ha dichiarato che queste sostanze sono “il nuovo amianto”, in quanto non provocano danni acuti ma a lungo termine".

 

 Ancora: "Una affermazione drammaticamente calzante, che rende purtroppo al meglio qual è la pericolosità di questi composti chimici. Un pericolo ancora poco conosciuto, ma che sta salendo sempre più spesso agli onori delle cronache, come dimostra anche il recentissimo reportage sui Pfas rea...

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Alessandro Sallusti, sulle polemiche contrarie all'acquisto dell'agenzia di stampa Agi da parte della famiglia Angelucci, scrive:  "A sembra che tutto questo cancan sia orchestrato ad arte non in nome di nobili principi, peraltro non in discussione, ma per difendere monopoli consolidati nel campo dell’informazione, spesso usati per fini politici ed economici che con l’informazione hanno poco a che fare”.

La risposta di Antonio Padellaro è stata secca, netta: "Sono affermazioni quelle di Sallusti da sottoscrivere in pieno, virgole comprese. E, probabilmente, dobbiamo alla naturale ritrosia che impedisce al direttore del “Giornale” di sperticarsi in lodi per il suo editore se nell’articolo citato manca una sacrosanta esclamazione. Di essa volentieri ci attribuiamo noi la paternità non potendo essere accusati di conflitto d’interessi con la multiforme dinastia: “Gli Ang...

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Il nostro Paese spenderà 29 miliardi di euro per armamenti quando ne basterebbero cinque per far funzionare la sanità pubblica. La riflessione è frutto di uno studio di Pina Onofri, medico, giornalista e sindacalista.

Spiega la Onofri: "Sono aumentati i nuclei familiari in povertà assoluta, circa 8,9% della popolazione residente; sono più di 3 milioni gli italiani indebitati per l’aumento dei tassi di interesse sui mutui delle case e la metà degli italiani si rivolge alla sanità privata per poter ricevere una prestazione specialistica negata dal Servizio pubblico a causa delle lunghissime liste d’attesa. Servizio pubblico che il 43% degli italiani ha finanziato anche per coloro che reputano le tasse “pizzo di Stato”".

Quindi la fissazione di un dato che fa riflettere. "Per il 2024 l’Italia - dice - si appresta a spendere in armi ben 29 miliardi, lì dove sarebbe bastato...

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