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Ultimo aggiornamento il 19/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Usciremo fuori da questo tempo sospeso, dal bollettino quotidiano dell’indice RT, dei nuovi contagi, dei decessi e dei posti occupati in Terapia Intensiva. Usciremo fuori dalle fasce rosse, gialle o arancioni. Forse, come in un nuovo dopoguerra, usciremo fuori dalla crisi epocale che in un anno ha fatto chiudere attività commerciali, scattare casse integrazioni più virtuali che concrete, fallire imprese e relegato all’oscurità tanti lavoratori al nero. Di questi ultimi nessuno parla, nessuno intervista un pizzaiolo, un cameriere, un operatore di call center; nella guerra pandemica sono diventati ancora più invisibili i lavoratori senza garanzie, senza stipendio e senza identità sociale ed emerge, implacabile, quanto la solidarietà sia declinata secondo l’attenzione che suscita a livello mediatico. Ne usciremo grazie alla campagna vaccinale, pensavamo.

Oggi, l’obiettivo si allontana di mesi, come l’immunità di gruppo. Le grandi case farmaceutiche, chissà se per inadeguatezza produttiva o mercati alternativi da quelli con l’Europa, all’improvviso, stanno rallentando la distribuzione, non onorando le commesse che i contratti milionari garantivano. Vaccini preziosi come l’acqua nel deserto, ma il cui taglio asimmetrico nella distribuzione regionale ha comportato che le nuove profilassi fossero sospese per garantire la somministrazione della seconda dose nei tempi stabiliti dal protocollo. Perfino negli ospedali e nelle Rsa la campagna di immunizzazione è stata sospesa. Ma prima o poi ne usciremo.  Metteremo dietro le spalle la pandemia e, dopo aver contato i danni, recupereremo la normalità, butteremo le mascherine e torneremo agli abbracci ed alle strette di mano. Certo, toccherà fare i conti con il dramma di chi ha perso affetti ed amicizie, con il futuro incerto di chi si è visto stravolgere la vita e con la massa di disperati che riemergeranno dalle macerie sociali della guerra pandemica. In un quadro di incertezza, sospesi tra l’esigenza di normalità e nuovi investimenti sulla scuola, i primi chiamati al percorso della ripresa, della normalità, saranno alunni e studenti. Dopo polemiche infinite e la consueta attitudine alla confusione, peculiarità tutta italiana, le scuole stanno riaprendo ovunque. I piccoli centri, come le città più popolose, si animano di nuovo del vociare e dei colori di bambini ed adolescenti, pur nell’incertezza della continuità, perché i contagi permangono e il vaccino non arriva. Tornano anche le voci dei ragazzi della scuola secondaria, stremati, sì, dalle lezioni in DaD, ma che protestano perché l’attività in presenza avvenga in sicurezza, e che il “Diritto alla Salute” e il “Diritto allo Studio” non prescindano l'uno dall'altro.

Chiedono chiarezza sulla questione dei trasporti e sugli orari in cui gli studenti devono far lezione. Sicurezza, direttive antiassembramento e mobilità potenziata sono le direttrici sulle quali si gioca la credibilità della ripresa. Ma la posta ancora più alta è quella della scuola come istituzione: saprà colmare le lacune che gli alunni hanno subito nel corso di circa un anno? Il fardello della didattica a distanza è pesante, tanto da scavare ancora una volta un solco tra qualcuno ed altri. La dispersione scolastica, l’analfabetismo funzionale e letterale sono aumentati esponenzialmente a causa della pandemia. Su dieci milioni di studenti, migliaia sono rimaste indietro, non potendo o non riuscendo a seguire le lezioni da remoto. È nata la generazione Covid, caratterizzata dalla mancanza di opportunità e dall’emarginazione, perché non tutte le famiglie dispongono di un pc o di un tablet, le case spesso sono piccole, a volte persino più piccole di quelle che il nostro immaginario collega ad alcuni Paesi (in Italia le case in media sono grandi 81 metri quadri, in Giappone 95 metri quadri). Troppo frequentemente non sono disponibili connessioni o device adeguati ad un utilizzo che non sia solo di svago.

Disparità profonde vissute in casa all’origine della disuguaglianza scolastica e che la pandemia ha evidenziato ed amplificato. La grande scommessa della scuola, oggi, è garantire lezioni in presenza con le dovute accortezze e, soprattutto, non lasciare indietro nessuno, non scavare ulteriormente il divario che esisteva già, ma che un anno di tempo sospeso ha acuito. Ciò che ha danneggiato ulteriormente la dimensione umana dei ragazzi, ma anche degli adulti, è stata la mancanza di socialità. Un anno senza attività sportive, senza occasioni di ritrovo e senza amicizia, quella non virtuale, ma fatta di frequentazione, di panini al pub e aperitivi, di passioni e di litigi per strada. Quel senso di amicizia che è crescita e formazione per un adolescente, e rifugio per un adulto, per un anno è stato, e lo è ancora, sospeso.

Uno sforzo comune di docenti, alunni e studenti riuscirà a riempire i vuoti dell’ultimo anno. Ma sarà difficile sciogliere il nodo di una socialità perduta, di rapporti sfilacciati, di una quotidianità fatta di cinema, teatro e concerti dal vivo che non c’è più, ma capace di arricchire e formare le giovani generazioni, così come il popolo di persone mature che dalla cultura trae energia intellettuale. Ai ragazzi toccherà la difficoltà di metabolizzare le conseguenze della pandemia, alla scuola, istituzione deputata alla formazione,  ed alla famiglia, sede iniziale dell’educazione, toccherà il ruolo di supporto. In questa guerra si è ulteriormente inserito un dualismo generazionale paradossale: da una parte i ragazzi che, a causa dell’isolamento, hanno aumentato i casi di autolesionismo e, purtroppo, anche i suicidi e dall’altra gli anziani che muoiono di solitudine, quando non per Covid. Due colonne fondamentali della nostra società stanno pagando il prezzo più caro. È una guerra, questa, con le sue vittime, i suoi “danni collaterali” e forse non solo i ragazzi, gli adolescenti avranno bisogno di sostegno, perché ne usciremo, ma cambiati e pieni di paura tutti. Ricostruzione sarà la parola d’ordine, proprio come dopo una guerra. Ma ne usciremo e torneremo alla bellezza della normalità.