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Ultimo aggiornamento il 18/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

L’occhiata fuggevole di chi ha sempre fretta non ha l’intensità dello sguardo di un anziano che aspetta di passarti vicino per augurarti il buongiorno. L’occhiata la vivi in città; lo sguardo è dei piccoli centri, dove i sentimenti non si scavalcano, nemmeno per la fretta di andare al lavoro o per correre a fare una commissione importante, ma si assaporano e si alimentano. Questo maledetto periodo di emergenza pandemica scava l’ennesima differenza di vita quotidiana tra i grandi centri e le piccole comunità, specie nelle aree interne.

Differenze che condizionano tutto e tutti, figuriamoci il modo di vivere un lockdown che è l’ennesima sorpresa, specie per chi alle sorprese non è abituato e nemmeno le cerca. La tecnologia, ovvero la banda larga, croce di questi territori, diventa all’improvviso fondamentale; serve non solo più per amoreggiare, opinioneggiare, ostentare foto vacanze-forme fisiche-piatti da gran chef, ma per lavorare da casa o per seguire lezioni all’Università o a scuola. Se non fosse per i piccoli gestori, sarebbe ancor più devastante l’isolamento, dato che le reti degli operatori telefonici nazionali, ma ancor più la politica disinteressata ai piccoli numeri, hanno relegato all’adsl la connessione e la sopravvivenza alle piccole aree interne. La logica dei grandi numeri non premia i piccoli comuni, anzi li punisce ancor più in tempi di Coronavirus. Se vivi in un piccolo centro rischi addirittura di non comprendere perché tutto debba rimanere chiuso, con il traffico che non c’è e gli assembramenti vietati, ma che non esistono, tranne una piccola “trasgressione” la domenica in piazza e quando non fa freddo. Specialmente in inverno il salotto preferito per chiacchiere riservate è quello dell’auto parcheggiata in un angolo al centro del paese, ma c’è il Coronavirus, occorre seguire le regole e questo lo sanno anche dove metropolitane affollate ed aeroporti con lunghe file per il check in sono solo immagini televisive. E’ difficile spiegare, figuriamoci capire, l’importanza che per una piccola comunità ha un bar, dove caffè e aperitivi sospesi ce ne sono sempre a iosa, si gioca a carte, c’è Internet Point per viaggiare senza spostarsi e si fa gossip sulle ultime novità politiche o sulla “cronaca locale”;  almeno adesso è consentita la visita al cimitero, momento di incontro tra anime e visitatori fugaci in mascherina per adagiare con amore un fiore  sui gelidi marmi, per ritrovarsi con se stessi per pochi istanti e magari incrociare uno sguardo amico a cui, da lontano, chiedere come va, come stanno tutti in famiglia “in questi tempi particolari” e mandare un bacio dal palmo della mano, perché c’è il Coronavirus. Nei piccoli comuni in tempo di lockdown, anzi di fascia rossa o arancione,  non puoi permetterti di percorrere quei tre chilometri fino al supermercato nel Comune limitrofo e girare nei lunghi corridoi per comprare il tuo yogurt preferito o il detergente della pubblicità, ma puoi sorridere al tuo negoziante di fiducia del piccolo mini market che cercherà il tuo yogurt via Internet e ti accontenterà, senza rimpianti per l’asettico megastore e la cassiera distratta, quando non terrorizzata, dal tuo starnuto.

L’assistenza sanitaria si fa più pesante in tempi di lockdown. I medici di base diventano ancora meno medici, reperibili ancor meno quando non si ammalano anch’essi di Coronavirus e tutto si fa più complesso, schiacciati dalla burocrazia sanitaria e dall’atavica inadeguatezza delle strutture. Tuttavia, nei piccoli presidi ospedalieri tutti, o quasi, conoscono tutti e se arrivi lì, per qualunque malanno, si faranno in quattro per rimetterti in sesto, fosse solo perché “ah, ma tu sei la sorella di…lo zio di…”. Sembra difficile capire, a tratti, ma tutto si può capire, se ti soffermi a guardare gli occhi smarriti di chi insegue la sua vita al ritmo di queste realtà, dove i piccoli gesti e le abitudini diventano riti di vita quotidiana, più e meglio di quanto accada nelle metropoli o comunque nei grandi agglomerati urbani. Qui, dove la visita ai propri cari nel camposanto è anche un’occasione per dimenticare le preoccupazioni che nascono dentro casa e per capire ancor più di questi tempi che è meglio seguir le regole e non diventare troppo presto gelido monumento alla memoria. Chi si è incontrato per decenni, specie tra gli anziani, nei vicoli del centro storico o tra i banchi della chiesa madre a dir rosario, sa che in questi momenti non può farlo se non con cautela e forse nasconde a tutti di non capire fino in fondo il perché.  Dove non ha potuto la guerra ed il terremoto del 1980 ha gioco facile un nemico impercettibile, ma letale. È il Coronavirus, occorre seguire le regole, e lo si fa anche dove i riflettori della cronaca e i grandi numeri non hanno cittadinanza. Ma non c’è solo il Coronavirus, ci sono anche tante fragilità, e qualche abitudine sana, che il tessuto sociale e i rapporti umani spesso curano come terapie e farmaci non riescono a fare.