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Ultimo aggiornamento il 20/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Era l’estate del 1991 in vacanza dalle parti di Sibari in Calabria con amici di famiglia, tra lembi di mare ancora incontaminati e templi di Magna Grecia quando cominciarono ad arrivare notizie dai giornali. Nessuna televisione in casa ed internet era ancora un qualcosa per pochi eletti, da qui la richiesta: “Luigi ho bisogno di una radio, mi serve ora”. Luigi, cresciuto con mio padre tra i portoni del Corso Vecchio sulla strada che porta ai Tre Casali di Nocera Inferiore, sapeva che non poteva né doveva obiettare alla richiesta del suo di padre, anche se questo significava camminare per ore e ore sotto il sole in auto più simili a forni che a mezzi di trasporto, doveva trovare una radio.

Avevo 10 anni e l’unica cosa che mi interessava in quel momento era andare al mare rincorrendo un pallone sulla spiaggia. Non capivo onestamente la ragione delle sue ansie, ma ho ancora chiaro negli occhi il signor Antonio che, ricevuta la sua radio, era alle prese con degli strani balletti alla ricerca di un segnale radio prima e poi chino sulla sedia, ascoltando quella voce gracchiante che gli confermava le notizie che arrivavano da Mosca. Era caduto il Socialismo. Era caduto l’ultimo mattone del muro che aveva cominciato a crollare nel Novembre del 1989 a Berlino, quel muro eretto lì nel centro dell’Europa a dividere il Capitalismo dal Socialismo con Dio a fare da giudice super partes.

In quell’estate era crollato l’ultimo mattone simbolo dell’utopia, era finito quello che era stato il sogno socialista. Fu nel giro di un paio di anni poi che in Italia, sirene non da stadio decisero che avevano mangiato un po' tutti, ma pare che quelli che avevano un fiore rosso al taschino avevano esagerato più degli altri. Avevo 10 anni e correvo dietro ad un pallone ma la fotografia di quegli anni lì insieme ai precedenti me l’ha raccontata chi c’era. E mi hanno raccontato che ti poteva capitare di nascere, crescere e morire con tre diversi tipi di vestiti addosso. Un vestito giacca e cravatta di chi aspirava al capitalismo di marca americana, un abito talare indossato su un altare o sotto vestiti comuni oppure un eskimo perché in giacca e cravatta o col saio ti veniva davvero poco comodo protestare o anche correre lontano dalle botte.

In quell’estate tutto finì, ed insieme al sogno anche l’Eskimo venne chiuso in un armadio. Di vestiti da indossare ne rimasero solo gli altri due, che poi divennero abito talare con giacca e cravatta per evitare confusione. Ricordo poi quel giorno camminando tra le strade di Dublino con una O’Connell street completamente bloccata da una folla oceanica,  lì in strada a protestare contro il governo. La famosa Water charges protest per impedire la privatizzazione dell’acqua con una bolletta annuale di 120 euro. Più o meno il prezzo di due pinte di Guinness al mese per un anno. Non una grossa cifra ma erano lì a protestare per il principio. E parlando con uno di loro fui colpito dalla risposta: “Lo so che non è una grossa cifra ed io me la posso permettere. Ma non lo so se il mio vicino ha abbastanza soldi. Nel dubbio protesto anche per lui”. Nel dubbio lui era andato a protestare. 

E ricordo che nello stesso periodo c’era aria di protesta anche in Italia. Lo scandalo delle Banche popolari con salvataggio alle banche e 1000 poveri risparmiatori davanti alla Leopolda chiedendo conto e rispetto. Guardavo quelle 1000 persone  e pensavo a quanti piccoli risparmiatori erano in quel momento in una situazione simile, con risparmi di una vita lasciati nelle mani di Banche Popolari buone solo per lo sviluppo dei politici del territorio di riferimento. Guardavo le immagini di quei 1000 che non ebbero alcuna risposta e ripensavo al dubbio di John. Guardavo loro e pensavo all’altro milione e più di piccoli risparmiatori come loro, che invece di scendere dal divano di casa ed andare a protestare nel dubbio potesse capitare anche a loro, avevano preferito rimanere a casa pregando di non avere la stessa sorte. Speranza vana.

A John il dubbio era venuto perché qui a Dublino si nasce si cresce e si muore con degli ideali di socialismo nella testa e la ribellione nel DNA. Ed è questo che abbiamo perduto. La voglia di scendere in strada per protestare per il nostro vicino di casa che magari ne ha bisogno, invece ci si è assuefatti all’idea che tanto non serve a nulla, che comunque hanno già deciso come deve andare. Non qui in Irlanda dove poi il governo per calmare la protesta ha cancellato la bolletta e restituito i soldi a chi aveva già pagato. Sono nato, cresciuto e morirò con il rosso nel cuore e negli occhi, cresciuto secondo degli ideali di socialismo e se mi capita di camminare per le strade dove c’è qualcuno seduto stanco dalla vita, come per istinto devo andare alla ricerca di qualcosa da condividere, denaro o cibo, delle parole o una sigaretta se gli va male.

Faccio parte della lista del compagno G (quello buono) perché come diceva Gaber qualcuno era comunista perché si sentiva libero e felice solo se lo erano anche gli altri. Mi manca il socialismo. Per ragioni anagrafiche non l’ho potuto vivere direttamente se non attraverso i racconti di chi c’era ed ha regalato pezzi interi di vita per quel sogno. Mi manca l’educazione che quei partiti davano ed i valori in cui ti insegnavano a credere, valori di condivisione ed uguaglianza dove se hai 10 ma ti serve 7 quel 3 lo puoi anche dare a chi non ne ha. Mi manca il socialismo perché su quei valori, su quell’educazione si poggiava una parte della nostra società e mi manca perché camminando per strada, davanti a qualcuno seduto per strada stanco della vita, di sicuro chi ha una visione capitalista della vita, correrà a passo spedito mettendo la mano alla tasca ma solo per proteggerla, chi ha l’abito della Chiesa neanche le porta le tasche e va bene un Ave Maria.

Dicono che la politica sia lo specchio della società, ma credo sia il contrario. È la politica o meglio i politici che con il supporto dei mezzi di comunicazione indirizzano la società ed il modo di pensare, ed allora via simboli pericolosi; che la falce e martello diventi un logo buono per una maglietta come per il Che, che si lascino appassire i garofani rossi. E può capitare oggi a qualcuno di questi politici di percorrere il valico di Chiunzi sino a Tramonti e di guardare dall’alto l’Agro Nocerino Sarnese in tutta la sua maestosità sino ai piedi del Vesuvio. Chi ha nella testa ideali di progresso a stelle e strisce guarderà ai pochi spazi rimasti per alzare un palazzo di vetro od un centro commerciale.

C’è chi guarderà al cielo perché oltre quello non sono mai stati abituati a fare e quindi mai hanno potuto vedere il colore rosso del Pomodoro San Marzano che si mescolava al bianco del Cipollotto Nocerino, disegnati su di uno sfondo marrone dove sotto crescevano patate novelle, il giallo della Percoca di Siano sul verde del Friariello, il tutto mescolato come in un quadro di Arcimboldo. Mentre una volta c’era chi risalendo anno dopo anno per il valico di Chiunzi sino a Tramonti e guardando l’Agro Nocerino Sarnese sino ai piedi del Vesuvio, aveva sempre di più gli occhi rotti dal pianto ripensando all’oro antico della sua terra, come il compagno Lorenzo.