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Ultimo aggiornamento il 22/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia! 

Questa è la definizione di salute dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità)! Vale la pena partire da qui per cominciare una riflessione e articolare un ragionamento su quello che possiamo e dobbiamo fare sul territorio, sia ora, durante l’emergenza del Covid19, sia dopo per riorganizzare la Sanità e per contribuire in maniera determinante a far diventare realtà l’auspicio dell’OMS. La salubrità dei territori e il protagonismo dei cittadini sono essenziali per il mantenimento o il recupero di una qualità della vita perlomeno accettabile. Cominciamo, quindi, a considerare la salute come un problema nostro, anzi il problema nostro, che dipende dalle nostre scelte e dai nostri stili di vita. I medici, le case farmaceutiche, le strutture ospedaliere vengono dopo, molto dopo, e anche queste dipendono da noi. Intanto interveniamo per il recupero dei danni procurati. Tutto può essere modificato a cominciare da come abbiamo costruito le città, da come le abbiamo piegate alle nostre esigenze più strambe utilizzando progetti e materiali che hanno accentuato l’inquinamento, organizzando trasporti, divenuti apparentemente insostituibili, che hanno reso l’aria non adatta a una specie umana sana. Bene, anzi male! Le risorse per modificare queste cose ci sono. Il recupero urbano può e deve dare risposte appropriate e gli strumenti urbanistici possono essere adeguati a questa priorità: la vita! L’Italia aveva, dopo lunghe lotte sindacali e popolari, varato la Riforma Sanitaria, vera riforma di sistema che aveva modificato tradizioni, istituzioni e concezione della salute individuale e collettiva. Troppe sono, purtroppo, le variabili introdotte negli ultimi quindici anni nel corpo vivo della Riforma sanitaria varata nel 1978 dal Governo Andreotti, troppe le modifiche che hanno snaturato lo spirito ispiratore iniziale della riforma: la salute è un diritto ed in quanto tale lo Stato assicura ai cittadini, tutti i cittadini, un adeguato servizio pubblico per l’assistenza di chi ne avesse bisogno. Nasce così la riforma che iscrive in modo chiaro tra i diritti dei cittadini italiani quello alla salute. Il passaggio dalle USL alle ASL non è stato un fatto nominalistico ma di sostanza, si è passati dalla garanzia del diritto alla salute alla garanzia di questo “nei limiti delle risorse di bilancio”.

 Cominciamo col ricordarci che la massima autorità e, quindi, il custode della condizione di buona salute della popolazione e del suo territorio è il Sindaco, che ne condivide la responsabilità con il consiglio comunale in forza della legge 833/78; ai sindaci sono affidati, inoltre poteri di programmazione, di controllo e di giudizio sull’operato del direttore generale delle ASL. I compiti del sindaco sono ampi e orientati non alla gestione ma alla puntuale conoscenza dello stato di salute della popolazione e delle condizioni ambientali in cui essa vive. Se e quando venisse a conoscenza di pericoli incombenti o potenziali ha l’obbligo di informare la popolazione dei rischi. Questo non per organizzare cacce al colpevole, che è diventato lo sport preferito di alcuni di noi, ma per responsabilizzare noi e i nostri rappresentanti istituzionali nella ricerca delle soluzioni più consone ad una vita qualitativamente migliore e meno rischiosa. Questi poteri sono stati per anni vissuti quasi con fastidio dai nostri Amministratori, forse perché la funzione separata dalla gestione poco gratificava, anzi rappresentava una responsabilità, ed in quanto contrappeso al potere di gestione poteva generare un conflitto politico da evitare.

Già prima della pandemia i numeri angoscianti dei casi di cancro avevano richiamato i Sindaci ad un ruolo di responsabilità e ad un protagonismo importante. Il passaggio alle Regioni di competenze e risorse finanziarie hanno finito con indebolire la capacità di risposta del sistema sanitario alla salute collettiva. Le conseguenze le stiamo vedendo e pagando oggi con il caos generato da atteggiamenti diversi da Regione a Regione nel fronteggiare la pandemia da coronavirus e con la pratica impossibilità, questa volta politica, dei sindaci di tutelare la salute delle popolazioni che rappresentano. Pensiamo al nostro territorio ed ai numeri, tra i più alti d’Italia di morti e ammalati di cancro. Dati sconvolgenti, perché chiaramente riconducibili all’inquinamento dell’aria, dell’acqua e della terra. Anche questo già visibile e scontato ma plasticamente rilevabile in questi giorni di fermo collettivo. I tempi che stiamo vivendo e quelli che a brevissimo vivremo, la famosa fase 2, devono segnare un cambiamento necessario anche della concezione del Governo e delle Amministrazioni locali. Lo Stato centrale deve riappropriarsi delle prerogative strategiche come la Sanità, la Scuola, l’innovazione tecnologica e lo sviluppo economico, per garantire il concetto di salute come riportato in premessa. Un nuovo modo di amministrare le città deve necessariamente partire dall’assicurare il diritto alla salute delle comunità locali.

I Sindaci devono riappropriarsi delle prerogative che la legge assegna loro, chiedendone il rafforzamento. Il controllo, le informazioni e le rivendicazioni sono la vecchia/nuova arma per partecipare attivamente in queste ore alle scelte regionali e nazionali; le funzioni dei sindaci saranno essenziali, se non vogliamo assistere allo svuotamento della democrazia, i poteri elettivi bypassati da una pletora di comitati scientifici. Le questioni sanitarie sono di pertinenza tecnica ma l’organizzazione sul territorio di esclusiva titolarità amministrativa. Le direttive partono dal livello nazionale, sono recepite e adattate da quelle regionali ma l’applicazione di esse spetta ai territori ed ai suoi rappresentanti. Un banco di prova immediato sarà la campagna di monitoraggio regionale tramite tamponi e le conseguenti azioni di contenimento e prevenzione che sono indispensabili e propedeutiche alla ripresa delle attività, le USCA vanno subito attivate individuando i siti e le risorse.  Questo è il vasto campo nel quale la politica locale deve ritrovare lo slancio per far ripartire le proprie comunità. Ancora una volta sarebbe necessario un coordinamento del territorio di tipo politico/solidaristico per non ritrovarci a tentare di salvarsi città per città, paese per paese. Ricordiamoci che la ripresa, la famosa fase 2, traccerà nuove mappature sanitarie regionali determinanti per il monitoraggio continuo e l’assistenza domiciliare. L’unità del territorio sarà decisiva per non subire una distribuzione “razionalizzata” delle risorse che potrebbe classificare i nostri plessi ospedalieri e strutture di base nuovamente di serie B. Non è un problema di prestigio ma di vita. Riflettere su questi temi forse ci aiuta anche a sentirci utili combattendo il più grave problema dell’isolamento: il senso di inutilità.