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Ultimo aggiornamento il 28/03/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Quando Vincenzo Boccia venne eletto presidente di Confindustria in tanti erano contenti. Alla guida degli imprenditori arrivava un uomo del Sud, oltretutto con l'azienda a Salerno, Arti grafiche Boccia. Non è che il nostro fosse mai stato un fulmine di guerra. Ha ereditato l'attività dal padre, il battagliero Orazio. Una famiglia di stampatori da generazioni. 

Quell'incarico, che sta fortunatamente per lasciare, gli arrivò come un dono, un regalo firmato Emma Marcegaglia. Gli anni della sua presidenza sono stati caratterizzati dalla tristezza. Interventi scontati, lamentele a getto continuo e lo scandalo del Sole 24 Ore. Intanto gli affari in casa sua non è che prosperassero. Insomma, il buon Vincenzo spiegava come salvare le aziende mentre la sua era in pre coma.

La situazione è stata spiegata molto bene da un pezzo apparso oggi sul Fatto. Dal 23 dicembre Boccia, amministratore delegato delle Arti Grafiche Boccia (Agb), ha depositato in tribunale un accordo di ristrutturazione del debito basato sull’articolo 182 bis della legge fallimentare. Agb spiega che i conti non sono a rischio perché l’accordo con i creditori, che rappresentano almeno il 60% dei debiti, è integrato da un aumento di capitale già realizzato da 1,3 milioni e da investimenti per 10 milioni previsti nel prossimo anno e mezzo, oltre all’acquisizione del cliente Msc Crociere a novembre e a un nuovo contratto di filiera che a fine gennaio porterà “un partner strategico e complementare per crescere nel segmento della GdO”. Ora il tribunale fisserà un’udienza per accertare le condizioni per l’integrale pagamento dei creditori.

Questo, però, non risolve il problema: "Le tensioni finanziarie non sono una novità per l’impresa fondata nel 1961 a Salerno da Orazio Boccia, padre del presidente uscente di Confindustria. Già a giugno 2016 la società emise una cambiale finanziaria a un anno da un milione, che pagava un tasso di interesse del 5,15%. Il prospetto spiegava che “pur non ravvisandosi una stringente dipendenza da alcuna delle singole controparti, la numerosità dei principali clienti è scarsa ed eventuali defezioni e/o perdite commerciali riferite a uno o più clienti potrebbero impattare negativamente sulla situazione economico-finanziaria”. Unicasim, “sponsor” della cambiale, giudicò “scarsa” la qualità creditizia di Agb per la “capacità sufficiente di onorare i debiti a breve termine che invece non è garantita a medio-lungo”. Nel 2016 l’utile fu di meno di 18mila euro su ricavi netti scesi a 38 milioni dai 39,7 del 2015, con 35,6 milioni di debiti dei quali 11,8 verso fornitori e 21 verso banche. Per il 2017 le banche dati riportavano un fatturato in crescita a 42,4 milioni ma anche una perdita di circa 3 milioni".

La replica di Agb è un classico: "Le cause della crisi sono da rintracciarsi nel contesto del settore che sin dal 2011 è in contrazione”. E che “per la propria forza industriale e solidità” ha “risentito della crisi di settore solo nel 2017 per poi acuirsi nel 2018” e dunque “non è vero che versa già da anni in condizioni di insolvenza. Nel 2016 Agb presentava una posizione finanziaria netta di 22 milioni con un patrimonio netto di 15 milioni, asset materiali per 17,5 milioni e un margine operativo lordo (Ebitda) di 2 milioni, pari all’8% del fatturato, esattamente in linea con la media dei competitori".

Sempre la società: "Per quanto il business della società fosse solido, l’insolvenza di taluni clienti, che hanno causato significative perdite su crediti e una conseguente contrazione del fatturato, e una struttura dei costi centrali che, a seguito del calo del fatturato, è divenuta sovradimensionata rispetto alle esigenze aziendali penalizzando la redditività e la capacità dell’impresa di generare flussi di cassa, hanno contribuito alla necessità di procedere nell’interesse di tutti gli stakeholders (dipendenti e creditori in primis) al risanamento. Perciò ha predisposto e sta negoziando con i propri creditori finanziari il piano di ristrutturazione”. “Informazioni ulteriori (i bilanci 2017-2018, ndr) non possono essere comunicate senza violare la simmetria informativa”, spiega Agb che ribadisce che “Il Sole 24 Ore non è cliente” e che “non è previsto un piano di ridimensionamento dell’organico".

Qual è il piccolo problema? Semplice. Da giugno a settembre Agb ha messo in cassa integrazione ordinaria a rotazione una ventina dei 180 dipendenti. Era stata già usata tra marzo e giugno del 2018.