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Ultimo aggiornamento il 19/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Alcuni giorni fa abbiamo ospitato l'intervento del penalista Antonio Sarno assolutamente contrario alla riforma Bonafede che, tra l'altro, prevede il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Oggi, invece, per dare un quadro completo delle opzioni in campo, pubblichiamo un pezzo di Massimo Fini apparso sul "Fatto" che sta conducendo una dura battaglia perché il testo del ministro venga approvato, inclusa la controversa questione della prescrizione. E Fini vuole la sospensione. In questo articolo spiega il perché.

 

Il dibattito sullo stop ai tempi della prescrizione alla sentenza di primo grado sarebbe surreale se non nascondesse interessi molto concreti e tutt’altro che limpidi. Chi si oppone a questa legge, in vigore da un anno per processi relativi ai reati commessi dal 1° gennaio 2020, afferma che allungherebbe i tempi del processo. Vero, ma questo avviene su processi già lunghissimi che sono l’autentico nocciolo della questione, di cui parleremo più avanti. Per l’intanto la nuova legge se entrerà in vigore offrirà enormi vantaggi. Con l’attuale regime i magistrati vengono demotivati perché già durante l’iter del processo sanno che il loro lavoro cadrà nel nulla. Lo Stato (cioè noi cittadini) spende un fracasso di soldi altrettanto per nulla. Non c’è la certezza della pena. La parte offesa non otterrà mai alcuna soddisfazione. Per evitare questa legge, che Di Maio ha definito giustamente “di assoluto buon senso”, gli oppositori ricorrono a un escamotage: la legge deve essere subordinata a una preventiva riforma del Codice di Procedura penale.

È come dire: non se ne fa nulla. La precedente riforma, quella curata da Giandomenico Pisapia insieme a uno stuolo di giuristi, ha voluto un lavoro durato dieci anni per partorire peraltro un obbrobrio, un ibrido fra sistema accusatorio e inquisitorio che non ha funzionato. La riforma del Codice di Procedura penale, nel senso di uno snellimento dei processi, dovrebbe quindi correre in parallelo con la legge sulla prescrizione (che c’è già) e non rimandarla alle calende greche. A chiedere di rimettere in discussione la blocca-prescrizione sono soprattutto quei partiti, Forza Italia e Pd in particolare, che hanno nel loro Dna una particolare propensione a delinquere, come dimostra l’infinità di loro imputati in attesa di giudizio definitivo.

Costoro se la caveranno perché la legge non può essere retroattiva. I loro successori no. Secondo la ricostruzione di Antonella Mascali sul Fatto nel solo 2018 i processi caduti sotto la mannaia della prescrizione sono 117.367 e al primo posto ci sono i reati in materia edilizia, 13.260. E qui casca l’asino perché i “reati in materia edilizia” sono quelli propri di “lorsignori”: corruzione, appalti truccati, traffico di influenze, finanziamento illecito ai partiti. Il nocciolo della questione non è quindi la legge sulla prescrizione, ma l’abnorme durata del processo che va a incidere, fra le altre cose, sulla durata, spesso altrettanto abnorme, della carcerazione preventiva e sulla possibilità o meno, durante la delicata fase delle indagini preliminari, di dare informazioni sull’attività degli inquirenti. Al segreto istruttorio in questa fase, si oppone, bisogna dirlo, un’altra casta, quella dei giornalisti.

Alleggerire le procedure quindi. Purtroppo il sistema giudiziario italiano ha preso dal diritto bizantino, una stupenda cattedrale fatta di pesi e contrappesi, di ricorsi e controricorsi, di revisioni e controrevisioni, di misure e contromisure, che dovrebbe eliminare l’errore e invece finisce per favorirlo perché a distanza di tanto tempo i testimoni non ricordano o sono morti, le carte sono ingiallite, illeggibili e a volte scomparse. Il sistema anglosassone prende invece dal diritto latino (di cui noi dovremmo essere gli eredi, ma non lo siamo) un diritto di matrice contadina, pragmatico, efficiente, che sconta la possibilità dell’errore a favore della velocità dei processi. Il nostro impianto giudiziario, già farraginoso per queste ragioni storiche, negli ultimi anni è stato ulteriormente appesantito da leggi “pseudogarantiste” che sembrano fatte apposta per salvare i furfanti. Perché l’interesse dell’innocente è di essere giudicato il prima possibile, quello del colpevole il più tardi o possibilmente mai come è avvenuto tante volte a partire dall’“entrata in campo” di Silvio Berlusconi. Ritorniamo quindi alla nostra matrice latina. Un passo indietro che sarebbe in realtà un grande passo in avanti.