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Ultimo aggiornamento il 28/03/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Il cosiddetto "pacchetto giustizia" che rischia di minare definitivamente i rapporti tra Pd e M5S, fortemente voluto dal ministro Bonafede, ha uno dei suoi cardini nella decisione di bloccare la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. La questione sta dividendo il mondo giudiziario, e non solo quello. Sulla querelle uno dei più noti penalisti campani, l'avvocato Antonio Sarno, ha scritto un pezzo per "Saleincorpo". La possibile riforma, inoltre, ci riguarda molto da vicino. Il tribunale di Nocera Inferiore ha competenza su decine di comuni e centinaia di migliaia di persone. E qualunque scelta si farà le conseguenze le avvertiremo anche qui.

 

Le nuove norme sulla prescrizione che dovrebbero entrare in vigore dal primo gennaio 2020 e sortirebbero i loro primi effetti non prima di cinque anni, cioè dopo la sentenza di primo grado per i reati commessi successivamente alla data prima indicata, sono la manifestazione di un approccio miope e controproducente rispetto ai problemi della giustizia penale. La sospensione della prescrizione si tradurrebbe, infatti, in un processo a vita, un processo senza fine e, quindi, inutile e dannoso sia per gli imputati che si vedrebbero giudicati dopo decenni, sia per le vittime delle quali non verrebbero mai accertati i diritti.

Solo chi non è mai entrato in un tribunale poteva ipotizzare una soluzione del genere.  Il nostro ordinamento giuridico, in tutte le sue articolazioni, è improntato al rispetto del principio della “certezza delle situazioni giuridiche” che significa che in tempi ragionevoli (e non in decenni) un giudice debba decidere se Tizio debba dare 1000 a Caio; se proprietario di un bene immobile sia Sempronio o Mevio e, soprattutto se il signor Rossi abbia o non abbia commesso il delitto di cui è accusato. L’imputato non può stare sotto processo sine die a causa dell’incapacità di Bonafede e dei suoi consiglieri di immaginare un sistema processuale rapido nel rispetto dei nostri principi costituzionali.

Ed infatti l’art.111 della Costituzione nel delineare   il concetto di “giusto processo”, lo individua non solo in quello che rispetta le garanzie difensive e la concreta e fattiva partecipazione dell’imputato al dibattimento, ma anche e soprattutto nel processo che si concluda in tempi ragionevoli. E la ragionevolezza dei tempi non può essere parametrata sulla scorta delle difficoltà burocratiche, della carenza di personale e delle cattive prassi invalse nei tribunali italiani. Questa, invece, va individuata nella “minima sofferenza” possibile da richiedere alle parti nel processo. Non dimentichiamolo, infatti, che il processo è, prima di tutto, sofferenza. Chi non è mai entrato in questo girone dantesco, difficilmente può comprenderlo, ma quando ne viene coinvolto, si accorge immediatamente di questa verità. La sospensione della prescrizione, invece, va nella direzione opposta, quella di mettere il processo in una sorta di quiescenza a discapito dei diritti dei cittadini.

Irrilevante, fuori luogo e in mala fede è, poi, l’osservazione per la quale in altri paesi la prescrizione si sospende. Sono paragoni inconsistenti atteso che si tratta di sistemi giuridici e processuali diversi, con diversi ordinamenti giudiziari entrambi nati da culture giuridiche differenti. I sistemi processuali al mondo sono due: l’inquisitorio e l’accusatorio. Noi, nell’illusione di essere i più bravi, siamo stati capaci di inventarcene un terzo che fa acqua da tutte le parti. E’ ora di riconoscerlo. L’unica soluzione è la riforma del processo penale, di un processo pseudo accusatorio che, dopo trent’anni e i troppi irragionevoli interventi legislativi e giurisprudenziali che ne hanno snaturato il carattere, ha disvelato la sua incapacità di svolgere la funzione cui era destinato. Nonostante il vecchio detto per il quale per gli avvocati il processo mentre pende, rende, questi stanno portando avanti – unici nel pianeta giustizia -   una battaglia di civiltà e di democrazia nel solo ed esclusivo interesse dei cittadini.