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Ultimo aggiornamento il 18/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Daphne è esplosa, morta, uccisa da un’autobomba piazzata per disperderne la voce e gli scritti. Il pomeriggio di un anno fa è saltata in aria appena uscita di casa. Lei era una giornalista che ora lega il suo nome all’isola di Malta, dove aveva vissuto assediata da chi non voleva sentire niente delle proprie malefatte, da chi aveva carte coperte ora messe a nudo in un effetto al contrario. Dietro la deflagrazione del suo corpo distrutto, dello strazio e del sangue, c’è una rabbiosa reazione del crimine, di quelli che finivano nei suoi lavori, sul suo blog, sotto forma di notizie, di inchieste, di corruzione diffusa, di affari ricchi e gangli politici e bancari. Aveva scoperto come acquistare un passaporto europeo a Malta, un visto, una cittadinanza per uomini in grado di pagare profumatamente un lasciapassare. Aveva scoperto i fiumi di denaro sporco che arrivavano a Malta per uscirne senza indirizzo e senza padrone. Aveva scoperto relazioni tra governanti e oppositori locali con affaristi di mezzo mondo. Aveva detto e aveva scritto tutto, punto per punto.

La controllavano a vista, Daphne, la fotografavano, la pedinavano, la mettevano in guardia e la minacciavano, con armi sempre puntate e la paura di sentirsi denudati. Mettevano alla gogna le sue immagini, la facevano sentire una preda. L’avevano processata, sommersa di denunce e procedimenti. Le avevano bloccato i conti correnti. E lei viveva un confino reale, all’interno del disegno di un’isola, come un soggiorno obbligato, un carcere o un manicomio, tra le rocce battute dalle rotte illegali di droga, contrabbando e riciclaggio internazionale. 

 

Un consorzio di giornalisti  ha lavorato alle sue storie, partendo dall’esplosione, dai punti vivi del suo lavoro, fino a ricomporre dalle schegge di una bomba un nucleo importante, un grumo di fatti, come un pianeta dove volteggiano tuttora i suoi nemici giurati. Questa storia pullula di governanti, malfattori e banchieri sparsi, impegnati a smembrare i fili di una storia. Loro distruggono e la storia si ricompone, puntuale, fino a raccontare come si muore, da soli, su di una piccola terraferma cercando una forma di verità.  

È difficile scrivere degli uomini al comando dei soldi e del mondo. È arduo affrontare con la testa ben alta chi muove i fili. E’ da pazzi ostinarsi a dire le cose come sono, dietro i paraventi Daphne Caruana Galizia è morta, uccisa, dilaniata, ma la sua resa non è una fine. È una triste consolazione, leggere del suo lavoro, le cose che raccontava che ora sono più chiare. Più vive. Presi gli esecutori, che brindarono all’esplosione, gli ordini e i mandanti risalgono alti sul cielo di Malta, dove s’intrecciano i malaffari. Con le stelle di quella esplosione ancora visibili, come filamenti che trovano un senso. Come la verità.  

 

 

 

 

 

Ogni luogo è un’isola per chi scrive. Per chi racconta. Per chi dà i nomi ai fatti e alle cose. Boss, politici, criminali, malversatori, ladri di galline e di conti correnti, trafficanti, mezzi uomini di stato. Tutti costituiscono il confine del lavoro di giornalista. Vicino, troppo vicino alle conseguenze delle storie. Per ciascuno che scriva con rigore c’è una pila di minacce, intimidazioni, suggerimenti “amichevoli”, dita puntate, lettere anonime e chi più ne ha. Questo articolo, nato dalla lettura del libro di Carlo Bonini “L’isola assassina”, è dedicato a Daphne Caruana Galizia e alla sua famiglia. 

 

 

 

Alfonso Tramontano Guerritore