Non abbiamo mai creduto alla storia di una camorra con regole a fronte del carnaio odierno. Abbiamo sempre pensato che chi delinque va colpito e messo in condizione di non nuocere. Nessuna pietà per chi uccide.
Eppure due episodi recenti ci hanno scosso. Improvvisamente Antonio Pignataro, sanguinario killer, racconta di avere preso parte all'agguato in cui venne uccisa la povera Simonetta Lamberti. Naturalmente, a fronte di una confessione del genere, gli inquirenti cercano riscontri. Peccato che Pignataro indichi come complici tutte persone che, nel corso degli anni, sono morte.
Il secondo caso è quello di Macario Mariniello, un altro assassino. Appena qualche giorno fa, in aula, ha confermato di avere fatto parte del commando che ammazzò l'avvocato Giorgio Barbarulo. Anche lui, però, sostiene che a sparare è stata un'altra persona anche questa, naturalmente, morta.
C'è qualcosa di ripugnante nell'accusare persone, anche killer, che non sono nella condizione di potersi difendere. Se ci pensiamo un attimo, però, tutto ciò è nella logica di una camorra nello stesso tempo feroce e stracciona. Colpiscono i più deboli, ottengono il rispetto con le minacce, sfruttano il lavoro degli altri. Insomma, come si diceva, colpiscono chi non si può difendere e, magari per uscire di galera, accusano i morti. Alla fine, però, quelli veramente morti sono loro.