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Ultimo aggiornamento il 17/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Dovrebbe rivoluzionare l’assetto e l’organizzazione della sempre più fragile e disastrata medicina territoriale, tra case della comunità (che sono una evoluzione delle case della salute), gli ospedali di comunità (strutture intermedie tra il domicilio e il ricovero ospedaliero), telemedicina e assistenza domiciliare. Ma la riforma, prevista dal decreto ministeriale 77 del 2022, è ancora quasi al palo. Solo in sei regioni – Emilia-Romagna, Lombardia, Molise, Piemonte, Umbria e Toscana – sono già state rese operative alcune case di comunità, peraltro in un numero ancora ben lontano dagli obiettivi: sono complessivamente 133, nemmeno un terzo delle 484 che dovrebbero essere aperte. Nelle altre regioni, e nelle province di Bolzano e di Trento, è tutto fermo, non ne è stata realizzata nemmeno una. Significa che delle 1.525 strutture previste sul territorio nazionale neanche il 9% è già operativo. E lo stesso forte ritardo si rileva per gli ospedali di comunità. Ne mancano all’appello 468 su 524, ne sono già attivi solo 56, tra Calabria (1), Emilia-Romagna (5), Liguria (1), Lombardia (10), Molise (2) e Veneto (37). In percentuale non si arriva all’11% del totale di quanto programmato, in quindici regioni non è stato fatto nulla.

Dati impietosi – Presentati da Agenas, l’agenzia per i servizi sanitari regionali, alla commissione Affari sociali e lavoro del Senato – su una riforma sostenuta principalmente dai 7 miliardi provenienti dal Pnrr (sui quasi 17 stanziati per la missione Salute), ai quali si aggiungono fondi regionali e altre risorse europee. E che confermano il notevole ritardo, a fronte di un cronoprogramma che prevede la realizzazione di tutti gli interventi stabiliti entro i prossimi tre anni. Le cause? Secondo Agenas, le procedure messe a punto sono troppo complesse, lunghe e farraginose. In pratica, “non consentono un agevole e tempestivo impiego delle risorse pubbliche disponibili, che rimangono per lungo tempo immobilizzate, con riflessi negativi sulla gestione finanziaria e contabile delle Regioni”. Una criticità evidenziata anche dalla Corte dei Conti. Con l’aggravante che la programmazione, a causa dell’iter interminabile, è spesso superata dalle nuove normative. Vuol dire che alcuni interventi già approvati potrebbero anche essere revocati, altri sostituiti, aumentando il ritardo. “Inoltre, l’incremento dei costi – scrive Agenas nel suo report –, e l’emergere di nuovi fabbisogni potrebbero richiedere variazioni, con la conseguente necessità di procedere a rimodulazioni”. In pratica non è escluso che si debba ripartire da zero. Siamo di fronte a una paralisi?

Di certo c’è che anche le Centrali operative territoriali, le cosiddette Cot, pensate per il coordinamento dei servizi, sono ferme. Dovrebbero essere 650 e invece ce ne sono 24, peraltro circoscritte solo a Lombardia, Piemonte e Umbria. Per le case di comunità la spesa prevista è di due miliardi. Altri quattro sono destinati all’assistenza domiciliare e alla telemedicina, infine 1 miliardo va agli ospedali di comunità. Con i fondi del Pnrr in Emilia-Romagna di case di comunità ne sono state realizzate 43, contro le 92 previste. In Lombardia ce ne sono solo 38, di cui due aperte con altre risorse: e dovrebbero essere 211. Il Veneto ne dovrebbe avere almeno 100 e non ne neanche una.

La Campania ne prevede 191 e anche qui siamo a zero. A zero anche la Sicilia, alla quale ne sono state assegnate 156. Sempre la Lombardia di ospedali di comunità ne dovrebbe realizzare 70 e come abbiamo visto è ferma a 10. La Puglia non ne ha nemmeno uno e ne deve avere 38. Anche in questo caso, sono ancora una volta immobili Campania e Sicilia. Così come lo è il Piemonte, che dovrebbe disporre di 30 ospedali di comunità.