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Ultimo aggiornamento il 17/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Il crepuscolo di un ex potente, potentissimo della stagione berlusconiana si è consumato pochi giorni fa in un’auletta dell’ufficio Gip di Torre Annunziata. Il rinvio a giudizio per corruzione di Luigi ‘a Purpetta’ Cesaro, imputato di aver ricevuto favori e una mazzetta di 10.000 euro dall’imprenditore in odore di camorra Adolfo Greco, per contribuire a spianare la strada del progetto di riqualificazione residenziale dell’ex Cirio di Castellammare di Stabia, segna forse il punto di non ritorno. Il suggello, che chiuderebbe la porta a eventuali ripensamenti, su un addio definivo alla politica. Addio che l’ex senatore peraltro aveva già annunciato rinunciando a qualsiasi tentativo di ricandidarsi alle ultime elezioni politiche.

All’udienza preliminare dei giorni scorsi, Cesaro ha vestito lo status di “detenuto per altra causa”. E’ ai domiciliari da ottobre, da quando ha perso le guarentigie parlamentari, per accuse di concorso esterno in associazione camorristica. Nel mirino gli affari della sua famiglia con il clan Puca di Sant’Antimo e la presunta compravendita di voti in un paio di elezioni comunali locali. I fratelli imprenditori sono sotto processo con le stesse imputazioni, “Giggino” attende l’esito dell’udienza preliminare, in calendario il 31 gennaio. I processi potrebbero diventare due.

Cesaro aveva rischiato gli arresti anche per la vicenda Cirio. L’ordinanza fu emessa nel maggio 2020 e poi trasmessa al Senato. Ma non si arrivò al punto di votare sull’autorizzazione a procedere: il Riesame di Napoli, ottava sezione, ne dispose l’annullamento. Il provvedimento conteneva alcune severe censure sulle procedure con le quali erano state autorizzate le intercettazioni di Greco e dei principali coindagati. Proprio sulla utilizzabilità delle telefonate, senza le quali gran parte delle accuse crollerebbero, si è combattuta una durissima battaglia legale tra accusa e difese. Tuttora in corso.

Lontanissimi i tempi in cui a Napoli e in Campania per arrivare al premier Berlusconi bisognava passare per gli uffici di Cesaro, coordinatore napoletano di Forza Italia, e del suo ex amico Nicola Cosentino, coordinatore regionale, sottosegretario all’Economia, che la politica è stato costretto a lasciarla molti anni prima, nel 2013, quando gli fu negata la ricandidatura al Parlamento e gli si spalancarono le porte del carcere per le accuse di collusioni con il clan dei Casalesi.

A Cesaro invece quella ricandidatura fu concessa, nonostante una carriera politica già attraversata da ombre e sospetti, e gli annunci di una ‘ripulitura’ delle liste azzurre dagli esponenti più discussi e chiacchierati. Cesaro era entrato a Montecitorio già nel 1996, poi le rielezioni successive, la parentesi al Parlamento europeo, i tre anni alla guida della Provincia di Napoli tra il 2009 e il 2012, lasciata per sopravvenuta incompatibilità con l’incarico di deputato.

Proprio in Provincia, competente per la nomina del commissario ad acta sulla domanda di permesso a costruire presentata da Greco, dopo l’inerzia dell’amministrazione comunale stabiese, sarebbero avvenute alcune delle condotte contestate a Cesaro, all’ex deputato azzurro Antonio Pentangelo, che all’epoca ne prese il posto, ed a Greco. La procura di Torre Annunziata li ha messi al centro di un presunto patto di piaceri, vicinanza politica e qualche regalo di Greco (che avrebbe intermediato per un consistente sconto sull’affitto della sede di Forza Italia a piazza Borsa di Napoli), in cambio di un occhio amico della Provincia sulla pratica edilizia. Ed infatti il permesso fu rilasciato, e secondo il consulente del pm sarebbe persino regolare. Ma è rimasto solo un pezzo di carta: la realizzazione delle case non è mai iniziata.

(Dal Fatto)