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Ultimo aggiornamento il 15/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Strano mondo quello del giornalismo italiano. Viene annunciata la vendita de l'Espresso e si alza un coro di solidarietà pelosa e inutile. E così si dimenticano i fatti. Il settimanale glorioso fondato da Scalfari da tempo era ridotto a un insertino di Repubblica di un centinaio di pagine, fatto male e senza grinta se si esclude qualche inchiesta frutto più della capacità del singolo cronista che di una linea editoriale complessiva. Dicevamo, però, che la storia parte da lontano e riguarda anche chi solidarizza oggi, ma in passato ha fatto finta di non vedere perché con il culo al caldo.

Circa 25 anni fa l'allora gruppo l'Espresso decide di comprare la Città, decotto quotidiano di Salerno. L'affare è buono. C'è un brutto segnale già all'inizio però: un parte del management del gruppo non vuole un quotidiano al Sud. I più riottosi si piegheranno solo alla volontà di Carlo Caracciolo. Andiamo avanti per una ventina d'anni e dopo un periodo di stillicidio arriva la notizia: il nostro quotidiano viene svenduto a imprenditori locali. Siamo in buona compagnia visto che medesima sorte tocca al Centro a Pescara. Il gruppo l'Espresso ha iniziato le grandi pulizie. Non ricordo manifestazioni di solidarietà da parte di colleghi del gruppo, a partire da quelli di Repubblica. Le loro poltrone sono ben salde anche se la pacchia sta per finire.

Poi ci sono le vicende legate alla chiusura e riapertura della Città di cui tanto si è già scritto. Il processo di smantellamento, dunque, inizia già con il gruppo Espresso. Poi i De Benedetti cedono il gruppo alla famiglia Agnelli. Il sistematico massacro continua con la cessione di giornali locali storici, a partire dal Tirreno di Livorno. Tutto come sempre nel silenzio generale, almeno fino a quando passano piani drastici di riduzione del personale a Repubblica e si arriva alla vendita dell'Espresso. Tutti sdegnati, tutti solidali, tutti con la paura di perdere il posto di lavoro e privilegi annessi.

Allora, un concetto deve essere chiaro: la vendita del settimanale non uccide il giornalismo. E' esattamente il contrario. Il giornalismo è stato sepolto da un certo modo di fare informazione. Da noi i De Benedetti, i Caltagirone, gli Agnelli e altri hanno sempre cercato di fronteggiare la crisi di vendite con ammortizzatori sociali e andando a bussare alle casse statali. In America, dove pure la carta stampata ha attraversato una crisi storica, hanno avviato la riconversione sul web. Risultato? Colossi come il Nyt e il Post oggi hanno milioni di abbonati on line, bilanci in attivo e cominciano ad assumere giornalisti. 

La solidarietà a comando, quando conviene perché indirettamente in realtà sono in discussione i tuoi privilegi, non mi piace. E anche se si fa la fame quantomeno riconosciamo valore alla coerenza.