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Ultimo aggiornamento il 16/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

È scampata alla strage delle Torri gemelle grazie alla conserva di pomodoro. A volte per salvarsi la vita non serve avere clamorosi colpi di fortuna: bastano gesti comuni, normali, ordinari. È quello che è successo Francesca Lo Monaco D’Angelo, nativa di Alcamo, in provincia di Trapani. È finita a New York nei primi anni ’70, quando ancora adolescente ha seguito i suoi genitori dall’altra parte dell’oceano. Come milioni di siciliani emigrati, Francesca è arrivata nella Grande mela per rimanerci: studia, lavora, mette su famiglia. Fa carriera come manager di una grossa compagnia d’assicurazioni e alla fine realizza il suo sogno: lavorare dentro alle Torri gemelle di Manhattan. “Le Twin towers – racconta – non erano soltanto un’icona dello skyline di New York city. Certamente facevano parte della vita di tutti i newyorkesi, ma erano anche un punto d’arrivo: rappresentavano l’ambizione, la forza della realizzazione, una sorta di simbolo di un traguardo raggiunto“. Una meta alla fine del sogno americano. “La compagnia per la quale lavoravo all’epoca, la Fireman’s Fund Insurance Company, aveva sempre avuto sede nei pressi del World trade center. Poi nell’aprile del 2001 ci eravamo trasferiti nella Torre numero 2, al 41esimo piano: a settembre avevamo appena finito di arredare gli uffici”. La Torre numero 2 del World trade center, nota anche come Torre Sud, fu la seconda ad essere colpita, tre minuti dopo le ore 9, e la prima a crollare, sessanta secondi prima delle 10. Solo che per fortuna quel martedì 11 settembre del 2001 Francesca non era in ufficio. Il motivo? Aveva preso un giorno di ferie per rimanere a casa e preparare la conserva di pomodoro, tradizionale rito di fine estate che migliaia di famiglie celebrano soprattutto nel Sud Italia e che la famiglia di Francesca ha portato con sé anche Oltreoceano. “Mio marito aveva comprato le cassette di pomodoro e mi aveva chiesto: puoi prendere un giorno libero al lavoro così facciamo le conserve? Proprio quel giorno io ero stata invitata da un cliente per andare a giocare una partita di golf. Sono cose che fanno parte del lavoro, nelle grosse compagnie succedono spesso: allora ho chiesto a una ragazza che lavorava per me di sostituirmi”. Quel giorno di ferie di Francesca, però, non fu dedicato alle conserve. “Ricordo che avevamo appena accompagnato le bambine a scuola, non ci eravamo ancora accorti di nulla quando squillò il telefono: era mia cognata. Subito mi fa: ma sei a casa? Meno male che sei a casa, accendi la tv”. In quel momento, alle 8 e 46, il volo numero 11 dell’American Airlines dirottato da Al Qaeda si era appena schiantato tra il 93esimo e il 99esimo piano della Torre Nord, la World trade center 1. “Ho acceso la televisione nei momenti in cui stava arrivando il secondo aereo, cioè quello che poi ha colpito la Torre 2, dove c’era il mio ufficio”.

Nei primi minuti dell’attacco quasi nessuno riesce a capire cosa sta succedendo: si vede solo fumo, alcuni dicono che si tratta di un incidente. Francesca si ricorda di un particolare legato al suo lavoro: “Neanche due mesi prima avevo stipulato una polizza per Silverstein Properties, che aveva rilevato il World trade center: era la società proprietaria delle torri e le aveva assicurate con noi. Quella era una polizza molto alta, perché copriva i danni superiori ai 200 milioni di dollari. Tutti i danni di valore inferiore erano coperti da altre compagnie, poi entravamo in gioco noi”. E’ anche per questo che in quei primi momenti Francesca spiega di ricordare quello che chiama “un mix di sensazioni“: “Da una parte mi tremavano le mani e le gambe perché non capivo cosa stesse succedendo. Dall’altra pensavo: oh my god, abbiamo superato il limite di danno della polizza“. Quell’assicurazione, alla fine, non sarà mai pagata. Il motivo? Gli atti di terrorismo non erano coperti dalla polizza. E quello è il più grande atto di terrorismo della storia: solo che in quel momento nessuno ancora lo sa.La Torre 2, quella dove lavorava Francesca, brucia per 56 minuti: poi crolla. “Quel momento – ricorda lei – lo vedo ancora nella mia testa, non lo dimenticherò mai: è senza dubbio il giorno più brutto della mia vita ma ancora oggi non trovo le parole adatte per spiegare quello che ho provato”. È a questo punto che, per cercare di farsi capire meglio, Francesca prova ad alternare l’inglese all’italiano: “È stata una violation, come se fosse morta una parte di me. Non ero riuscita a contattare nessuno dei miei colleghi, dei miei amici: il livello di ansia era terribile. Vedevi persone che si lanciavano nel vuoto…era straziante. Dopo 20 anni ancora mi vengono i brividi”. Alla fine le vittime furono quasi tremila: alcuni erano colleghi di Francesca, seppur di altre società. “Erano persone che lavoravano in altri uffici ma con cui collaboravamo ogni giorno. Ricordo che nei giorni successivi all’attentato andai a moltissimi funerali”. I cinquanta dipendenti che lavoravano per la Fireman’s Fund Insurance alle Torri gemelle, invece, si salvarono tutti. “Era ancora presto e nel mio ufficio, quel giorno, c’erano solo due persone che spesso arrivavano prima dell’orario d’inizio della giornata di lavoro: riuscirono a scappare in tempo. Tutti gli altri per fortuna non c’erano: chi era in ritardo, chi aveva problemi con la macchina, chi era al ricevimento dall’insegnante della figlia”. Gesti comuni, normali, ordinari che ti salvano la vita. Come prendere un giorno libero dal lavoro per preparare la conserva di pomodoro.

(Dal Fatto)