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Ultimo aggiornamento il 18/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

È morto Peter R de Vries, il giornalista che la sera del 6 luglio, nel centro di Amsterdam, era stato ferito gravemente. L’emittente olandese Rtl, per cui de Vries lavorava, ha pubblicato una dichiarazione della famiglia: «Peter ha lottato fino alla fine, ma non è riuscito a vincere la battaglia. È morto circondato dai suoi cari. Ha vissuto secondo la sua convinzione: “in ginocchio non si può essere liberi”. Siamo incredibilmente orgogliosi di lui e allo stesso tempo inconsolabili». Il cronista olandese è stato colpito da una distanza ravvicinata da cinque colpi di arma da fuoco, nelle strade del centro città alle 19.30, dopo aver preso parte al programma televisivo RTL Boulevard. La polizia ha arrestato due persone sull’autostrada nei pressi di Leidschendam, una cittadina a sud di Amsterdam, vicino a L’Aia. Le autorità hanno riferito che si tratta di un cittadino polacco di 35 anni, identificato come Maurik G., sospettato di aver guidato la macchina nella fuga, e di un cittadino olandese, identificato come Delano G., sospettato di essere stato l’esecutore materiale, di aver dunque sparato al giornalista. 

Secondo i media olandesi, il killer sarebbe il nipote del braccio destro di Ridouan Taghi, marocchino olandese accusato di omicidio e traffico di droga. Il giornalista d’inchiesta ha aiutato Nabil B., uomo che apparteneva a una banda criminale, nelle testimonianze contro il narcotrafficante. De Vries era noto per le sue inchieste sulla criminalità organizzata e sul narcotraffico. Ha aiutato la polizia a risolvere casi importanti e, per alcuni periodi, gli era stata assegnata la scorta. Tra le inchieste di de Vries, la più nota risale al 1983, quando si era occupato del sequestro del famoso imprenditore Freddy Heineken, il presidente dell’omonima società. 

 

GIORNALISTI MINACCIATI

L’attentato a de Vries mostra che i giornalisti e la libertà di stampa sono in pericolo anche nelle democrazie europee. Negli ultimi anni si è registrato un aumento degli attacchi ai giornalisti. I dati raccolti nel rapporto annuale 2021 promosso dal Consiglio d’Europa e preparato da 14 organizzazioni internazionali di giornalisti, mostrano una crescita del numero di segnalazioni: nel 2020 gli allarmi sono aumentati del 40 per cento circa rispetto al 2015, quando si contavano 108 segnalazioni in 25 paesi, 12 omicidi, 118 detenuti e 25 casi di impunità per le uccisioni di giornalisti. Il 2020 ha visto invece 201 segnalazioni in 32 paesi, 2 uccisioni, 118 privati della libertà e 25 casi di impunità. Tra le segnalazioni poi c’è un record di aggressioni fisiche: sono infatti 52 i casi di attacchi fisici e 70 i casi di molestie o intimidazioni.

Francia, Grecia, Italia, Polonia, Russia, Serbia, Spagna, Turchia e Regno Unito sono i paesi in cui si sono registrate più segnalazioni durante le manifestazioni. E l’Italia è al secondo posto, dopo la Federazione russa e prima del Regno Unito, per il numero di aggressioni fisiche. Ma Ricardo Gutierrez, segretario generale della federazione europea dei giornalisti, ha spiegato che “bisogna essere cauti nel comparare i dati di diversi paesi”, perché le segnalazioni dipendono dal lavoro delle associazioni nazionali.

La denuncia è arrivata anche dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, che ha definito il giornalismo «una professione pericolosa» e ha evidenziato come la pandemia abbia esasperato una tendenza già allarmante. «L’omicidio rappresenta solo la punta dell’iceberg. L’impunità dei crimini contro i giornalisti è inaccettabile perché legittima l’aumento della violenza», ha affermato Mijatović. Ján Kuciak, Jamal Khashoggi, Akhmednabi Akhmednabiyev, Rohat Aktaş, Mikhail Beketov, Daphne Caruana Galizia sono solo alcuni nomi di giornalisti uccisi dal 2017 a oggi, omicidi ancora oggi impuniti. Nel 2021 il Consiglio d’Europa ha denunciato finora 25 omicidi impuniti, 146 segnalazioni e quattro omicidi.

FUORI DALL’EUROPA

I dati sono ancora più drammatici fuori dai confini europei: dal 2011 Reporter senza frontiere ha registrato su scala globale 937 giornalisti uccisi, 50 solo nel 2020. Negli ultimi dieci anni i numeri sono diminuiti, anche se Rsf sottolinea come nel 2020 i giornalisti sul campo siano stati molti meno a causa della pandemia. «Sette giornalisti su dieci vengono uccisi in zone di pace», ha evidenziato Rsf nel rapporto. Nell’analisi di Rsf emergono poi altri due elementi importanti: nel 2020, l’84 per cento degli omicidi sono stati omicidi mirati e premeditati, contro il 63 per cento del 2019, eseguiti in modo sempre più cruento. L’ong ha poi rilevato un aumento delle uccisioni di giornalisti d’inchiesta. Quattro giornalisti sono infatti stati uccisi nel 2020 perché si stavano occupando di organizzazioni criminali, dieci per aver indagato in tema di corruzione locale o uso improprio di fondi pubblici. Tre infine sono stati uccisi perché si stavano occupando di casi legati a questioni ambientali. Messico, Iran, Afghanistan, India e Pakistan sono stati individuati da Rsf come i paesi più pericolosi per i media.