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Ultimo aggiornamento il 19/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Tra Palermo e Napoli, sono numerose e diverse le feste patronali o di quartiere in cui sono i mafiosi e i camorristi a scegliere in prima persona i cantanti neomelodici da invitare sul palco. Se prima era un semplice sospetto, la conferma è giunta dall'esito di una serie di intercettazioni raccolte dagli investigatori in occasione di indagini su più gravi e rilevanti circostanze di reato.

Ad esempio, nel capoluogo siciliano sono le indagini sulla famiglia mafiosa di S. Maria di Gesù ad aver consentito di mettere in luce il ruolo di primissimo piano giocato da Salvatore Profeta - autorevole rappresentante di quella consorteria, deceduto nel 2018 - in occasione della festa rionale della "Madonna dormiente" celebrata in quel quartiere ogni metà d’agosto. Infatti, proprio in prossimità di quelle celebrazioni, le microspie degli investigatori registravano la conversazione in cui un nipote di Profeta spiegava al suo interlocutore che la gestione del consueto concerto di musica neomelodica napoletana programmato nei giorni a seguire, sarebbe stata personalmente seguita dallo zio Salvatore, il quale avrebbe scelto personalmente anche i cantanti da invitare: «…no, decide lui!.. gli chiedono il permesso… […] dovevano prendere Gigi Finizio […] mio zio, oltre a quelle canzoni che lui canta normali, vuole che canta qualcosa… qualche canzone un pochettino più antica».

Le indicazioni fornite dal nipote di Profeta, hanno trovato piena conferma nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Sebastiano Arnone, il quale - sentito dai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo su vicende riguardanti altri quartieri del capoluogo siciliano - ha raccontato: «A proposito delle feste di piazza dove intervengono cantanti napoletani, voglio precisare che vengono gestiti da Cosa Nostra. [...] Questi cantanti vengono pagati, comunque, con proventi di attività illecite».

Non è diverso il racconto di Giuseppe Tantillo, ex uomo d’onore del quartiere palermitano di Borgo Vecchio: «Allora noi che cosa facevamo? Contattavamo... l’impresario di cantanti che si trova al Capo in quanto lui si occupa… Cioè ha dei cantanti anche… fa da manager anche ad alcuni cantanti napoletani, in quanto lui si occupa di organizzare delle feste e quindi noi che cosa facevamo? Noi dicevamo: “Guarda, vogliamo questo cantante, questo cantante” e dopo facevamo una lista di cantanti che doveva cantare, diciamo, quelle sere. Lui dopo un paio di giorni ci portava diciamo il cosiddetto preventivo e ci diceva: “Guarda, viene 18 mila euro, viene 15 mila euro”, e noi dicevamo: “Va bene”. La serata dopo della chiusura della festa noi già davamo i soldi. [...] Però noi giustamente sceglievamo noi i cantanti … non li sceglieva lui».

Anche quanto accade sul palco, al cospetto del pubblico durante i concerti, ricade sotto un rigido protocollo che obbedisce agli interessi del gruppo criminale che controlla quel determinato territorio. Tra una canzone e un’altra, c’è sempre qualcuno che suggerisce una dedica, un messaggio, un pensiero riconoscente: per alcuni anni, ad esempio, a Palermo, nel corso di tante feste di piazza, destava non poche perplessità il fatto che non mancasse mai un caloroso saluto a “Zorro”; solo anni più tardi, gli inquirenti hanno scoperto che dietro il nome dell’eroe mascherato si celava l’identità del capomafia Gianni Nicchi, ai vertici della famiglia mafiosa palermitana di Pagliarelli, a cui gli uomini più fedeli indirizzavano messaggi e dediche nelle pause dei concerti, tra una melodia e un'altra.

IL NEOMELODICO RAFFAELLO

Un episodio analogo, segnalato con risalto dalla stampa locale, ha avuto come protagonista uno dei giovani cantanti neomelodici più seguiti tra Napoli e Palermo, Raffaello, alias Raffaele Migliaccio, che qualche tempo fa, in occasione della festa della Madonna del Carmine, ha concluso la propria esibizione dal palco musicale montato in piazza Kalsa, nel capoluogo siciliano, lanciando «…un saluto a Gino Abbate e a tutti gli ospiti dello Stato». Vale la pena segnalare come il riferimento fosse alla persona di Luigi Abbate, classe 1958, indicato da collaboratori e inquirenti come uomo d'onore della famiglia mafiosa palermitana di Corso dei Mille, meglio conosciuto nel quartiere col nome di "Ginu 'u mitra", tratto in arresto il 12 luglio 2011 nell’ambito dell’operazione anticrimine denominata “Hybris” e condannato in appello nel 2014 a 19 anni di reclusione per associazione a delinquere di tipo mafioso.

In terre di mafia, non è da sottovalutare la portata destabilizzante di queste consuetudini: messaggi e dediche impunemente lanciate da un palco in festa all'indirizzo di detenuti e latitanti, hanno un eccezionale valore simbolico-rappresentativo e costituiscono un’affermazione esplicita di chiara e piena signoria sul territorio da parte dell'organizzazione camorristico-mafiosa.

Per non parlare dei contenuti di tali messaggi: dal momento che in queste occasioni è particolarmente agevole registrare le voci con un semplice telefonino, c’è la possibilità di veicolare suoni e immagini a chi è lontano dal proprio quartiere, inserendoli in tempo reale sui social o su altri strumenti di messaggistica; così, dietro gli auguri di una "presta libertà" (!) o dietro un caloroso saluto o una dedica musicale, potrebbe agevolmente nascondersi – come di fatto è accaduto in passato – un messaggio in codice, difficile da interpretare anche per le Forze dell’Ordine, dotato di un potenziale infinitamente più diffusivo e penetrante rispetto a quello trasmesso mediante mezzi ormai antiquati, come radio e tv locali.

L’OMAGGIO AL DETENUTO APPENA LIBERATO

Messaggi che, talvolta, possono trasformarsi in un vero e proprio ossequio reputazionale formulato anche fuori dal palco o dalla dinamica delle feste in piazza, ma comunque utile per dare un segnale di supremazia al quartiere o alla città. Com'è accaduto - ad esempio - nel dicembre 2019, con l’esibizione del cantante neomelodico Rosario Ricci che ha reso omaggio a un detenuto appena uscito di prigione, intonando melodie sotto la sua abitazione; il cantante, dopo alcuni pezzi del suo repertorio, rivolgendosi alla folla presente in piazza, ha concluso con la sua dedica: «Sotto tutti gli aspetti, ponn' ricere 2500 cose 'ncapo a te... ma tu nun si nu pentito e nun si 'nfame... Applausi!». E giù l'applauso degli astanti.

L'episodio sarebbe passato sotto silenzio, se non fosse stato segnalato sui social - con tanto di video registrato - dal consigliere regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli: «Una vera e propria vergogna - ha denunciato il politico - che, però, non ci sorprende. Da tempo denunciamo gli atteggiamento servili nei confronti dei delinquenti e le simpatie per una certa mentalità camorristica di alcuni esponenti del panorama neomelodico». 

Borrelli non è nuovo a questo tipo di denunce, che gli sono costate insulti, minacce e gravissime intimidazioni, ancora tutte e del tutto impunite. Resta da capire - a questo punto - se le strade, le piazze, le città dove cantano i neomelodici siano da considerare delle vere e proprie "zone franche" dai poteri dello Stato, dei territori ove si può impunemente utilizzare la musica per dissimulare rapporti di intollerabile condiscendenza a malandrini, camorristi e mafiosi; oppure se lo Stato è ancora in grado di affermare quel primato della legalità scritto a lettere di sangue sulla nostra Costituzione.

(Dal libro di Calogero Ferrara e Francesco Petruzzella "La mafia che canta").