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Ultimo aggiornamento il 28/03/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Questo commento di Enrico Fierro è stato pubblicato sul Fatto.

 

È morto Peppino Caldarola. Aveva 74 anni, con lui se ne va un altro pezzo di quel giornalismo italiano nato e cresciuto nel vasto mondo della sinistra. Barese, iniziò la sua carriera nella casa editrice Laterza. Ma erano gli anni 70 del secolo scorso, l’Italia fremeva di idee e la politica richiedeva scelte di vita radicali. Per alcuni anni fu segretario del Pci a Bari, ma ben presto la voglia di scrivere lo portò a Roma. Vicedirettore di Rinascita, il settimanale del partito, poi direttore di Italia Radio, radio di parole e di trasmissioni innovative. Ma è a L’Unità che Caldarola vive i suoi anni migliori. Prima inviato, poi redattore capo, fino alle due direzioni dal 1996 al 1998 e dal ’99 al 2000.

Anno di una chiusura drammatica, che Peppino affrontò condividendo il destino della redazione, cassa integrazione compresa. Chi scrive, in quegli anni era un giornalista de L’Unità e con Peppino ebbe anche discussioni interminabili. Quando un gruppo di noi (quelli che si occupavano di mafie) scoprì che il nostro direttore era amico di Tommaso Buscetta e con lui faceva cene e passava serate, saltammo dalle sedie. Il giorno della morte del “boss dei due mondi” ci spiegò il perché in un editoriale dal titolo “Il mio caro ex nemico”. “Ho perso un amico. L’ho conosciuto tardi. Non gli ho mai fatto un’intervista”. E tanto discutemmo, e ci dividemmo in redazione, per un titolo, “Scusaci principessa”, sulla morte di Lady Diana. “Il senso era chiaro – ricorderà Peppino qualche anno dopo – Lady D. era stata vittima di un assedio mediatico. Successe un casino”. Parlamentare dell’Ulivo nel 2001, riconfermato nel 2006, era un raffinato analista, ultimamente aveva annunciato al sito Strisciarossa di non voler più scrivere di politica, perché “la politica di oggi è fatta da energumeni. Bisogna scrivere usando il loro stesso linguaggio. Non sono capace”.