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Ultimo aggiornamento il 25/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Una battaglia per chiudere un museo dedicato a Lombroso. La singolare vicenda è al centro di un articolo di Enrico Fierro pubblicato sul "Fatto" alcuni giorni fa. Parla di presunti scienziati, cialtroni e pregiudizi verso il Sud. A seguire il testo.

"La “guerra del teschio” continua. C’è stata una sentenza di primo grado, una di appello e poi la Cassazione. Ma non basta, ora ad occuparsi di quel che resta del cranio di Giuseppe Villella saranno le Corti di giustizia europee, e, se non dovesse bastare, anche gli organismi dell’Onu per i diritti umani. L’ingegner Domenico Iannatuoni, pugliese del 1953 trapiantato al Nord, non si ferma, col suo Comitato “No Lombroso” continuerà a dare battaglia".

"Povero “Peppuzzo”, pecoraio disgraziato e affamato nato nel 1802 a Motta Santa Lucia, 826 abitanti oggi, 1715 a metà Ottocento, un pugno di case stretto tra le montagne della provincia di Catanzaro. La fame nera, ricostruisce in un suo libro l’antropologa Maria Teresa Milicia, lo portò a rubare “cinque ricotte, una forma di cacio, due pani e due capretti”. Ricercato dai carabinieri della nuova Italia, sabauda e unita, scappò e venne catturato. Rinchiuso nelle carceri del Regno come brigante, morì a Pavia nel 1864 distrutto da tisi, scorbuto e tifo. Neppure da morto trovò quella pace che non ebbe da vivo, perché la sua testa destò anni dopo la morbosa curiosità di Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare. Medico, per alcuni il fondatore della moderna antropologia criminale, per molti un cialtrone dalle teorie strampalate, basate sul nulla, e ispirate da un marcato razzismo antimeridionale".

"A Cesare bastava analizzare un volto, misurare l’ampiezza della testa e la distanza tra naso e orecchie, osservare un cranio, per stabilire la propensione al crimine di un individuo. Cercava le origini del male, ma anche quelle del genio, quello di Leone Tolstoj, ad esempio. Lo colpivano l’aspetto massiccio dello scrittore, la sua lunga barba, la testa grande e l’immensa forza fisica, e allora si recò a Mosca nel 1897 per incontrarlo. L’autore di “Guerra e pace” lo ricevette, ma capì lo scopo di quella strana visita, e furono giorni amari per Lombroso, Tolstoj tentò di annegarlo in una piscina e sul suo diario lo definì “un vecchietto ingenuo e limitato”.

"Lombroso studiò il cranio di Villella, analizzò la presenza di un “cervelletto a tre lobi, non due”, la prova regina dell’”atavismo criminale”. La testa di Peppuzzo, non raccontava la storia di un uomo affamato, ma quella di un “delinquente atavico”. Da allora quel cranio è esposto al pubblico a Torino, nel museo di Antropologia criminale Cesare Lombroso. “Una vera aberrazione”, taglia corto l’ingegner Iannantuoni. “L’idea di fare qualcosa di concreto ci venne anni fa, quando fu riaperto il Museo. C’erano 150 resti, tra gli altri quelli di Villella e del brigante Antonio Gasparrone".

"A Lombroso servivano a dimostrare che il meridionale era un uomo minore, atavicamente un delinquente. Una teoria che si propaga fino ai giorni nostri”. Insieme ad un gruppo di amici, l’ingegnere fonda il “Comitato No Lombroso” (sito Nolombroso.org), raccoglie 10mila adesioni, anche quelle di paesi e città, del Sud e del Nord. Vengono subito bollati come “neoborbonici”, etichetta che l’ingegnere respinge, “preferisco meridionalista, uno che vorrebbe la stazione ferroviaria a Matera”. Insieme al Comune di Motta San Felice fa causa all’Università di Torino e al Museo. Vincono in primo grado, perdono in Appello, perché quei resti vengono considerati “bene culturale”. Ricorrono in Cassazione e perdono di nuovo. “Ma non ci fermiamo, ricorreremo alla Corte di Strasburgo e, se necessario all’Onu. L’obiettivo? Dare degna sepoltura nel suo paese a Villella”. Peppuzzo, brigante e delinquente atavico per aver rubato “cinque ricotte…”".