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Ultimo aggiornamento il 27/03/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Nel settembre del 1985 la camorra ammazzava a Napoli Giancarlo Siani. Giornalista precario, con pochissime tutele (e, rispetto ad allora, la situazione non è cambiata) lavorava al "Mattino". Decise di raccontare quello che sapeva, che aveva visto, che aveva documentato, soprattutto in quella terribile realtà criminale che era (ma lo è ancora oggi) Torre Annunziata. Oggi, sul "Fatto", è un comparso un pezzo di Enrico Fierro che ricorda un ragazzo che aveva un sogno: un contratto vero. A seguire l'articolo.

"Il 19 settembre Giancarlo Siani avrebbe compiuto sessant’anni. I lettori di questa rubrica sanno chi è, il giornalista napoletano ucciso il 23 settembre 1985 dalla camorra che voleva farsi Cosa Nostra. Giancarlo, giornalista precario de Il Mattino, appassionato del suo lavoro fino a non considerare i rischi che correva, ad un certo punto decise di raccontare la camorra. Infranse “regole”, scrisse quello che vedeva e sapeva, mise insieme i fatti e li analizzò, il tutto per poche lire e spinto da un dogma: il lettore ha il diritto di sapere la verità. Sempre".

"Nei giorni scorsi, il fratello Paolo gli ha scritto una bella lettera di auguri, uno straziante “mi manchi”, un grido di dolore individuale che è subito diventato collettivo e sociale. “Questo fa la camorra, impoverisce la società, porta via affetti, competenze, sottrae capitale umano. Distrugge la vita”, ha scritto. Giancarlo Siani, sicuramente sarebbe diventato un giornalista professionista e contrattualizzato. Forse avrebbe continuato la carriera nel suo giornale, o forse avrebbe seguito altre strade professionali. Crescendo avrebbe visto mutare la realtà. Il Mattino non è più quello degli anni Ottanta, grande quotidiano del Sud, sempre di tendenza filogovernativa e democristiana, ma capace di coltivare e preservare professionalità indipendenti. I giovani giornalisti ventenni che hanno raccolto il suo testimone, sono precari a vita, pagati a pezzo, sfruttati con partita Iva".

"Querelati e minacciati, non hanno copertura. Sono soli, proprio come era Giancarlo. Anche la camorra è cambiata, aspirava ad essere Cosa Nostra ed è invece diventata un’accozzaglia di gangster. Con piccoli boss che vestono e si muovono imitando i narcos messicani, e che sparano. Come e più di prima. Allora, se davvero vogliamo fare a Giancarlo gli auguri per i suoi mai vissuti sessant’anni, raccogliamo l’appello di un altro giornalista, Sandro Ruotolo, “disarmiamo Napoli, una pistola in meno, una vita in più”.