Il caso di Enzo Tortora resta una delle pagine più buie nella storia della magistratura italiana. Pubblichiamo, tratto da "Sette" del Corsera, un pezzo di Leonardo Sciascia che ricorda i suoi rapporti con il presentatore scomparso nel 1988.
«Ho conosciuto Enzo Tortora, a Caltanissetta, nel 1958. C’era stato tra noi, qualche mese prima, uno scambio di lettere. Io non sapevo chi fosse quell’Enzo Tortora che avendo letto il “gettone” vittoriniano dei miei racconti, me ne scriveva con tanto calore; ma lo sapevano le mie figlie, chi fosse: e forse la sua lettera valse, ai loro occhi, a darmi una specie di promozione. Io in televisione non l’ho mai visto. In tutti i nostri incontri fino a quando l’ingiustizia cadde sulla sua vita, il nostro parlare era di Stendhal, di vecchi libri, di vecchie incisioni. Poi, negli ultimi anni d’altro non abbiamo parlato che dei problemi della giustizia».
Uno dei pochi che lo credevano innocente.
«Ero uno dei pochi che avevano subito creduto nella sua innocenza, e nettamente lo avevo dichiarato, riscuotendo il rimprovero di qualche benpensante. Per come potevo, ho poi seguito e incoraggiato la sua battaglia. Una battaglia che ha saputo combattere impeccabilmente, con rigore e con dignità. L’ho rivisto dopo molti mesi, sabato scorso. Era irriconoscibile, parlava stentatamente, atrocemente soffriva; ma parlava con precisione e passione nella grande illusione che il suo sacrificio potesse servire a qualcosa. Con questa illusione è dunque morto. Speriamo che non sia davvero un’illusione».