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Ultimo aggiornamento il 19/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Mio padre è morto per un tumore. Due anni passati vicino a un malato che non si è mai arreso. Un battaglia condotta nel silenzio e nella discrezione. Resto perplesso, quindi, quando sui social leggo i diari delle persone ammalate o vedo personaggi pubblici parlare del male che li ha colpiti.

Avverto un disagio. Capisco che cogliere la vicinanza di tanta gente può aiutare. Si tratta di una forma di condivisione, anche se solo virtuale, del dolore. Quindi non mi permetto di giudicare decisioni intime. Eppure vedere Mihajlovic parlare della sua leucemia mi imbarazza. E stamattina (14-7-2019) c'erano paginate intere sui quotidiani dedicate alla vicenda.

E' un meccanismo a catena: dici di essere malato e subito si scatena la solidarietà social. "Dai, forza, resisti, sei un guerriero, vincerai" e tutto l'armamentario dai toni quasi bellici che viene utilizzato in casi del genere. La morte è la morte, purtroppo. Eppure sembra che il cancro rappresenti una sorta di surplus, quasi una sofferenza aggiuntiva.

Ma si perde la vita per un infarto, un ictus, una patologia renale e tanto altro. Ma niente colpisce come il "male oscuro". Premesso che in questo caso le scelte non possono che essere lasciate alla sensibilità del singolo, eviterei questo clamore che spesso viene accompagnato da un tifo quasi da stadio. La lotta per vincere il tumore è una cosa troppo seria per finire su Facebook.