Chi voto, se voto? E, ancora, se voto, chi voto? Il quattro di marzo ci saranno le elezioni. Paginate e paginate vengono ogni giorno dedicate alle consultazioni. L’indifferenza è generale e palpabile. In Italia, da anni ormai, il primo partito è quello dell’astensione. Più che altro c’è notare che questo accade anche quando si va alle urne per le amministrative in passato, almeno in parte, risparmiate dal fenomeno.
Il ceto politico fa finta di non vedere. E cresce la distanza tra la rappresentanza e il paese reale. E’ triste. In Italia, e al Sud in particolare, si è fatta strada la convinzione che il voto non cambia nulla, tutto resta uguale e le differenze, che pure esistono, si annullano in una sorta di magma indistinto.
Nessuna speranza, slancio, utopia. I ricchi rimarranno ricchi, i disgraziati saranno sempre più disperati, continueremo a pagare tasse per servizi pessimi, nessuno manterrà le promesse. Qui non c’entra il qualunquismo. E’ una cosa peggiore: si chiama rassegnazione. Chi vota fa una scelta. Ma se la percezione è quella di una classe politica sempre uguale e tutta uguale, che senso ha legittimare questa farsa? Alla fine siamo condannati: per molti l’unica vera scelta è tra il voto e il non voto.