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Ultimo aggiornamento il 03/05/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

La sera del 5 settembre 2010, a circa cinquanta metri in linea d’aria dal luogo dove alle 21.12 fu ucciso con nove colpi di pistola il sindaco di Pollica Angelo Vassallo, villeggiava un carabiniere con la sua famiglia. Per tredici anni si è creduto che il carabiniere non avesse sentito gli spari: dormiva dopo una domenica trascorsa in spiaggia, anzi no, era acceso il televisore ad alto volume, anzi no, era in corso una festicciola, e poi le finestre erano chiuse, secondo le confuse e improbabili ricostruzioni emerse da indagini giornalistiche indipendenti, in mancanza di una desecretazione degli interrogatori che il militare rese alla Procura antimafia di Salerno all’epoca guidata da Franco Roberti. Di qui il nomignolo, impietoso, di “carabiniere sordo”, assegnatogli dai fratelli del povero Vassallo, che attraverso la Fondazione intitolata al sindaco pescatore si battono senza tregua per chiedere verità su un delitto impunito.

Nel tredicesimo anniversario della scomparsa di Vassallo, Giustizia di Fatto può rivelare che il carabiniere ascoltò distintamente il rumore degli spari. Non gli fu chiaro che si trattasse di colpi di pistola, potevano – avrebbe sostenuto – sembrare rumori di mortaretti o fuochi d’artificio, o altro. Sta di fatto che il carabiniere, che villeggiava in un appartamento di una villetta, con la finestra che dava verso la strada dove avvenne l’omicidio ma senza balcone, decise di non uscire per andare a vedere cosa era accaduto, per togliersi il dubbio. Rimase chiuso in casa.

La circostanza è contenuta negli atti della procura salernitana e in quelli della commissione parlamentare antimafia che nella scorsa legislatura ha istituito un gruppo di lavoro sul caso Vassallo. La commissione ha ascoltato il carabiniere nel 2021 dopo aver compiuto un sopralluogo sui luoghi dell’omicidio. Il militare, che oggi comanda una stazione di un capoluogo campano, si presentò in audizione a Palazzo San Macuto accompagnato dall’avvocato. Una prudenza forse superflua: l’uomo non è stato mai indagato e la sua buona fede non è stata messa in discussione dagli inquirenti.

Una buona fede che però non scalfisce un’amarezza di fondo: non scendendo ad accertarsi dell’accaduto, il carabiniere ha involontariamente contribuito a regalare cinque ore di vantaggio alla fuga dell’assassino, o degli assassini. La salma di Vassallo rimase riversa a lungo nell’Audi ferma contromano in salita. Fu ritrovata “ufficialmente” alle 2.45 del giorno dopo. Non si accorsero di nulla nemmeno le (poche) auto che transitarono dopo, lungo una strada semi isolata e di fresca costruzione: fu inaugurata poche settimane prima, proprio dal sindaco pescatore.

A proposito: il carabiniere, rincasando in auto poche ore prima dell’omicidio proprio lungo la strada dove avvenne, notò qualcosa di sospetto? Gli è stato chiesto durante l’audizione in commissione antimafia, che ha provato anche a chiarire un altro punto controverso delle indagini: cosa si dissero lui e il colonnello Fabio Cagnazzo che, accompagnato dal carabiniere scelto Luigi Molaro e dall’imprenditore turistico Giovanni Palladino, lo incontrò in villetta il giorno dopo. Cagnazzo e il “carabiniere sordo” ebbero poi un colloquio riservato. Cagnazzo aveva appena avviato la sua indagine personale sull’omicidio, senza deleghe formali della procura di Vallo della Lucania, prima che il fascicolo venisse trasferito alla Dda di Salerno. In seguito avrebbe fatto acquisire tramite Molaro i filmati del negozio di telefonia che si affacciava sulla piazzetta di Acciaroli. Tutte vicende note ai lettori di Giustizia di Fatto.

Tredici anni dopo, Cagnazzo, Molaro e Giovanni Palladino sono tra i nove indagati per concorso nell’omicidio del sindaco pescatore (solo i primi due) e nel traffico di stupefacenti che, secondo le ipotesi accusatorie dei pm salernitani, Vassallo aveva scoperto e si apprestava a denunciare. Prima che nove colpi di pistola lo facessero tacere per sempre.

(Dal Fatto)