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Ultimo aggiornamento il 25/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

2023, l’anno dello storico scudetto del Napoli. Come il 2022, in maniera diversa, era stato quello del Milan. E il prossimo chissà di chi sarà: il trionfo della squadra di Spalletti, costruito sulla forza della squadra prima che dei campioni, delle idee prima che dei soldi, certifica che siamo entrati in una nuova era della Serie A.

Di fatto, gli ultimi 15 anni di calcio italiano erano stati segnati da due cicli, di natura e durata differenti, ma sostanzialmente simili: il lustro dell’Inter post Calciopoli e poi addirittura il decennio (con un passaggio soltanto interno fra Conte e Allegri) della Juventus, intervallati dall’estemporanea parentesi del Milan 2011. Due squadre troppo più forti delle altre che vincono sempre e comunque. Il campionato è stato a lungo squilibrato e, possiamo dirlo, proprio noioso (tanto che qualcuno aveva iniziato persino di improbabili playoff). Il successo dell’Inter di Conte nel 2021 aveva tutti i presupposti (tecnico cannibale, rosa stellare) per aprire l’ennesimo ciclo monocorde, ma le vicissitudini della proprietà cinese hanno azzerato quel vantaggio, tanto che l’anno scorso il tricolore è finito a sorpresa sulla maglia dei cugini rossoneri. E oggi tocca al Napoli.

Per certi versi, gli ultimi due scudetti sono simili fra loro. Forse più casuale quello del Milan, mai in discussione quello del Napoli, che ha dominato dalla prima all’ultima giornata (anzi, cinque giornate d’anticipo). Ma c’è un filo conduttore che lega le due imprese: ha vinto la squadra che ha dimostrato di essere più forte sul campo ma non era necessariamente la più forte in assoluto. Hanno vinto le idee, il progetto. E se ciò è potuto accadere, è stato per merito, ma anche perché si è creato lo spazio perché quel merito potesse emergere.

Sottolineare la mancanza di avversarie credibili – della Juventus ammazza campionati, ma anche dell’Inter di Conte o del primo Milan di Pioli – non significa sminuire la straordinaria cavalcata del Napoli, ma solo contestualizzarla. Probabilmente gli azzurri avrebbero vinto ugualmente anche se le milanesi avessero fatto una stagione all’altezza delle aspettative. O magari no. Pensate a come è finita nel 2018 per il Napoli di Sarri, che a tutt’oggi rimane il più bel prodotto del nostro calcio degli ultimi vent’anni: lo scudetto lo avrebbe certamente meritato, eppure non lo ha vinto per colpa di un episodio arbitrale. Il Napoli di Spalletti sì.

Il dato di fatto è che la voragine di potere che si è spalancata in Serie A ha dato una chance a emozioni che in passato avrebbero rischiato di rimanere strozzate in gola. La Juventus di Andrea Agnelli è implosa nelle scellerate politiche del post Ronaldo, e tra penalizzazioni guai vari non sa che futuro la attende. L’Inter ormai è in autogestione, e non vedrà la luce in fondo al tunnel almeno fino a quando non ci sarà il passaggio societario. Il Milan campione in carica ha abdicato praticamente a gennaio con un’arrendevolezza senza precedenti. Non c’è più una squadra da battere, una che parte e arriva da favorita. E non è detto che lo diventi neanche l’ingiocabile Napoli di Spalletti.

Il modello di De Laurentiis – lo stesso di questo incredibile, storico scudetto -, si fonda giustamente sulla sostenibilità e lo scouting. È pensato per fare calcio, divertire, magari anche vincere, ma non dominare. In estate il Napoli campione si ritroverà di fronte agli stessi dilemmi che quest’anno hanno frenato il Milan: l’obbligo di ripetersi, le sirene di mercato su Osimhen e Kvaratskhelia. Venderli e dover ricominciare da zero, rinnovarli a cifre fuori budget che squilibrano il bilancio, o trattenerli scontenti in chissà quali condizioni? Ad agosto gli azzurri ripartiranno col tricolore sul petto, il grado di favorita ma anche una consapevolezza diffusa: d’ora in poi tutti possono sognare lo scudetto, e spesso vince chi lo merita davvero. In questa nuova Serie A, forse più bella, sicuramente più incerta.