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Ultimo aggiornamento il 18/06/2024

Saleincorpo

Un'idea di Carlo Meoli

Pubblichiamo un’anticipazione di “Disuguaglianze e Conflitto, un anno dopo” di Fabrizio Barca (Dialogo con Fulvio Lorefice) in uscita il prossimo 4 aprile per l’editore Donzelli.

Nel ragionare sul governo presieduto da Giorgia Meloni metterei da parte la “scarsa competenza” – merce rara in tutto l’arco politico –, la “scarsa credibilità” – se hanno vinto devono averne più di altri, ci piaccia o meno – e la nostalgia per “prestigiosi tecnici di area” – ancora “tecnici”!

E, dopo avere ribadito la straordinaria e positiva novità di avere finalmente una donna alla guida del Paese, partirei invece, dalla centralità della politica. Ritorno orgoglioso della politica. È il tratto primario del governo in carica o meglio del partito Fratelli d’Italia, che lo guida dichiarandosi orgogliosamente “conservatore e di destra”. Utilizzo intenso di simboli. “Alcuni simboli – scriviamo nel Resoconto – sono presi di peso dal neoliberismo, come merito, nella sua accezione distorta. Altri, invece, sono simboli “sacri”, assoluti, al centro delle nostre vite, che si intende tutelare senza se e senza ma: nazione e made in Italy; famiglia tradizionale; cibo e sovranità alimentare; sovranità energetica; sicurezza. È la risposta di destra a una delle sensibilità morali – l’assoluto, il “sacro” appunto – che divengono ancor più forti in tempi di incertezza e angoscia e a cui la sinistra fatica a rivolgersi”. (ForumDD 2022a). In questo quadro convivono due distinti indirizzi politici. Da un lato, il continuismo neoliberista: rafforzamento della logica privatistica, non universale nei servizi del welfare; intoccabilità del patrimonio; logica meritocratica nell’istruzione; limitazione dei trasferimenti anti-povertà, “per non disincentivare il lavoro”; schiacciamento dell’Unione europea sulla Nato; rilancio del ricorso a fonti fossili. Dall’altro lato, il protezionismo sociale, un mix di corporativismo, paternalismo autoritario e conservatorismo etno-nazionalista. Questi due distinti indirizzi possono trovare un accordo e cumularsi, con effetti particolarmente nocivi. Possono andare in conflitto dentro lo stesso governo, offrendo spazi di azione. Oppure, possono convivere in silenzio, contando sull’assenza di un confronto nel Paese.

Cominciamo dai casi di convergenza fra i due indirizzi. Particolarmente significativa è la modifica del Reddito di cittadinanza, segnata dall’assunto neolib – che tanto spazio ha trovato in passato anche nel Pd – per cui “chi è in condizioni fisiche di lavorare alla fine può sempre trovare un lavoro dignitoso”: il sostegno alle persone in povertà non viene visto come un mezzo per dare loro respiro, per consentire di rifiutare lavori mortificanti e irregolari e di sottrarsi all’abbraccio della criminalità, ma come una misura necessaria per placare le tensioni sociali che, avendo l’effetto di scoraggiare l’offerta di lavoro, ha bisogno di essere affiancata da un apparato sanzionatorio. E poi fa comodo dare in pasto a un ceto medio e un lavoro dipendente colpiti e in difficoltà gravi non i “primi” ma gli “ultimi”. Ecco allora che – almeno nei termini noti al momento di chiudere queste pagine – il nuovo strumento elaborato dal governo (al momento, Misura di inclusione attiva, Mia), pur correggendo alcune iniquità e anomalie da tempo denunziate, distorce in maniera assai grave lo strumento, in una logica di stigmatizzazione di chi se ne avvale. Viene ridotto l’importo, fino a renderlo inadeguato ad aprire un percorso di uscita dalla trappola della povertà e viene fortemente elevata la soglia per accedere al contributo. Convergenze fra le due anime del governo ce ne sono anche altre. Si è vista convergenza sulle molteplici misure fiscali che indeboliscono il potere negoziale del lavoro dipendente: reintroduzione (con soglia raddoppiata) dei buoni-lavoro; favore fiscale per le mance; aumento del favore fiscale per premi di risultato. Convergenza anche sull’avversione all’universalismo, che ha visto neolib di casa nostra inneggiare alla rimozione del bonus-cultura, non per possibili validi motivi (tipo: assoluta assenza di valutazione degli effetti sui giovani), ma perché “ne beneficia anche chi non ne ha bisogno”. Vedremo se vi sarà convergenza anche sulla “riforma fiscale”. Infine, una convergenza particolarmente grave si profila sulla concentrazione del potere decisionale politico, proponendo una qualche forma di presidenzialismo che garantisca continuità e robustezza del processo decisionale. Una convergenza, quest’ultima, capace in prospettiva di costruire un fantoccio con cui distrarre a lungo un popolo irato, promettendogli un “Cesare”.

Di tensione dentro il governo fra le due anime, in realtà, non se ne è vista finora molta. Ci sono stati a tratti segnali di tensione sul tema dell’autonomia differenziata, che oltre a costituire una minaccia profonda per l’universalismo del sistema sanitario e di altri servizi fondamentali, non è certo facilmente digeribile da chi, come negli intenti dichiarati da Fratelli d’Italia, vuole offrire protezione a fasce vulnerabili di popolazione. Eppure, anche a seguito della debolezza dell’opposizione – che vede una parte del Pd fra i proponenti originari di questa strada –, la tensione è stata finora riassorbita conducendo a un disegno di legge del governo che di fatto crea le basi giuridiche per il formale venir meno di un sistema di welfare universale, con un’intensità dell’azione pubblica nelle moltissime materie previste (23 materie, dalla sanità alla scuola, alla previdenza complementare) condizionata dalla ricchezza dei territori. Tensioni solo latenti si sono viste sulla vicenda del Pnrr. L’impegno del governo a una sua revisione e il drastico riassetto deciso nella sua governance sono fattori di rottura rispetto al continuismo col precedente governo. La discontinuità appare, in realtà, un atto dovuto, visti i problemi ereditati e il forte ritardo di spesa. Il nodo è un altro: l’effettiva capacità del governo Meloni di avere una direzione di marcia e di attuarla.

E dunque siamo alla terza possibilità: la convivenza silenziosa di anime diverse. Vediamo, in particolare, misure ispirate dal protezionismo sociale che non risvegliano gran sussulto nell’anima continuista neolib. L’innalzamento del limite per i pagamenti in contanti, è per intero frutto del protezionismo sociale, che offre tolleranza per il “nero marginale”. Lo stesso si può dire delle misure fiscali che legittimano o incentivano l’evasione realizzando forme di condono, come la rottamazione delle cartelle (annullamento automatico di debiti fiscali di importo residuo fino a mille euro).

E, ancora, ciò è avvenuto sia per il demagogico provvedimento che prevede da 3 a 6 anni di carcere per “chi organizza mega-raduni musicali su terreni altrui”, sia per la grave misura “à la Piantedosi” che costruisce ostacoli burocratici illogici e immorali per l’esercizio del soccorso in mare. E, infine, come classificare la decisione presa nel febbraio 2023 di bloccare per il Superbonus la possibilità di cessione dei crediti? Certo, come nel caso del Reddito di cittadinanza, le premesse sono nella cattiva gestione da parte del governo Draghi, a cominciare dal fatto di non avere previsto l’ovvio, ossia che, se la cessione dei crediti rende possibile a tutti, anche alle persone senza mezzi o capacità fiscale, di utilizzare il provvedimento – e dunque di provocare una mancata entrata per lo Stato –, è ragionevole che l’intero importo di ogni credito maturato gravi sul disavanzo pubblico sin dal momento della sua accensione. Ma sta di fatto che la misura del governo Meloni, oltre a creare stato di confusione e tensione per il settore delle costruzioni e per le famiglie, è assolutamente iniqua, confinando l’uso della misura a favore di chi ha liquidità e/o capienza fiscale adeguate. Comunque si voglia classificare questo atto del governo, esso ha, di nuovo, carattere anti-ugualitario. Insomma, è evidente che di “fenditure” l’opposizione, in Parlamento e nel Paese, ne avrebbe in abbondanza. Fenditure da utilizzare per costruire alleanze e blocchi sociali che mirino a un’Italia possibile, migliore, assieme più produttiva e più giusta, non all’Italietta coltivata dal protezionismo sociale e dal conservatorismo etno-nazionalista della destra.