Era giugno del 2016, esattamente il 29 giugno. "La Città" pubblica un pezzo firmato dalla cronista Rosaria Federico in cui si afferma che l'indagine sull'omicidio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, coinvolge anche clan scafatesi e stabiesi, a partire da quello dei Ridosso. Per quell'articolo Rosaria fu al centro di una persecuzione da parte di magistratura e forze dell'ordine: trascinata in questura, telefonino sequestrato e cimici nell'auto senza alcuna autorizzazione per intercettarla. Una vergogna. Oggi pubblichiamo una sua analisi sul nuovo filone di indagine che lascia non poco perplessi, perplessità che noi di Saleincorpo condividiamo in pieno.
Angelo Vassallo è morto. Dodici anni fa. Angelo Vassallo muore ancora. Ogni giorno di più. L’uomo, il sindaco, la giustizia, la verità. È tutto qui in poche parole essenziali quello che non riesce ad entrare, ancora oggi, in un’inchiesta giudiziaria nella quale si avverte l’esigenza impellente di trovare contorni definiti prossimi alla certezza e di dare risposte a interrogativi rimasti senza risposta da troppo tempo, per ricostruire e legare insieme il labile confine tra la ricerca storica e quella giudiziaria, processuale, che sfocia nella giustizia, quella in cui un tribunale potrà decidere chi sono i colpevoli.
E la nuova svolta nell’inchiesta per l’omicidio non dà risposte esaustive. Anzi, acuisce l’indeterminato confine tra supposizioni, convergenze che divergono, tesi e fatti certi, nel quale il tempo, ma anche l’approssimazione - forse l’incompetenza investigativa che senza elementi certi non può essere ritenuta dolosa - e i depistaggi stanno giocando un ruolo fondamentale.
L’ultimo atto giudiziario della Procura di Salerno per l’inchiesta sull’omicidio Vassallo è un decreto di perquisizione - firmato dal pm Marco Colamonici e dal procuratore capo Giuseppe Borrelli - nei confronti di nove persone (tre carabinieri, quattro imprenditori, due camorristi pentiti) accusati di omicidio e traffico di stupefacenti. Sono loro i nove protagonisti della cosiddetta svolta giudiziaria che dovrebbe condurre alla verità per la morte del sindaco di Pollica, ucciso il 5 settembre del 2010 con nove colpi di pistola. Questo ci si aspetta dodici anni dopo: verità e giustizia.
Ma accanto a questi nove protagonisti i cui nomi sono emersi in questi giorni ci sono altri personaggi che è impossibile ignorare. Uno in particolare: il mandante. Nel decreto di perquisizione utilizzato dalla Procura di Salerno per sequestrare, a distanza di tanti anni, dispositivi elettronici e telefoni cellulari ai nove indagati, c’è il nome di colui che avrebbe deciso sulla vita e la morte del sindaco Vassallo. È quello di un broker della droga, anch’egli formalmente un imprenditore, per il quale non vi potrà essere un processo. È deceduto due anni fa. Si chiama Raffaele Maurelli e per la Procura di Salerno è colui che ha avuto l’ultima parola sul destino del sindaco. Sarebbe lui l’uomo che ha provato, secondo questa nuova tesi, a corrompere Angelo Vassallo, o meglio a ricattarlo, facendo leva sulla sua sfera affettiva e familiare, e non riuscendovi avrebbe deciso di eliminarlo. Il suo ruolo è appena accennato in questo atto giudiziario eppure sembra determinante.
Maurelli avrebbe coperto così, con la morte del sindaco, i suoi loschi traffici criminali: un fiorente traffico di droga tra il napoletano e il Cilento nel quale i nove indagati sarebbero stati compartecipi, complici. Questa è la tesi della Procura. Ed è per quest’uomo quasi sconosciuto alle cronache giudiziarie se non per un arresto risalente al 2017 poi cancellato dalla Cassazione, che i tre carabinieri, due ex criminali della camorra oggi collaboratori di giustizia, Salvatore e Romolo Ridosso, e quattro imprenditori avrebbero lavorato. O meglio avrebbero tramato, almeno i tre carabinieri, per depistare le indagini successive al delitto.
E poi c’è un’altra figura determinante che non è ancora emersa in questa storia: la persona che ha premuto il grilletto. Il killer. Nessun indizio per identificarlo. Del killer nel decreto di perquisizione non vi è traccia, non ci sono accenni. Ai tanti testimoni protagonisti di questa inchiesta giudiziaria che pure emergono nel decreto di perquisizione nel quale i magistrati provano a legare insieme fatti, circostanze, testimonianze, intercettazioni telefoniche, nessuno si chiede mai ‘chi ha sparato, chi ha ucciso Angelo Vassallo alle 21,12 della sera del 5 settembre 2010?’.
È una ricostruzione quella emersa in questi giorni che se non fosse realmente scritta nelle pagine dell’inchiesta giudiziaria si potrebbe definire, con facilità, ‘kafkiana’, paradossale, talmente incredibile da sembrare quasi inverosimile. A dodici anni dal delitto vengono ripresi elementi e testimonianze emersi alcuni fin da subito altri alcuni anni dopo, riallacciati intorno ad un unico movente il traffico di stupefacenti scoperto da Angelo Vassallo. Nell’estate del 2010, secondo gli inquirenti, grazie alla sua squadra di vigili urbani il sindaco individuò un gruppo di trafficanti di droga, legati alla camorra, che facevano la spola con dei gommoni tra l’area napoletana e Acciaroli per trasportare in Cilento lo stupefacente. Secondo la Procura questa scoperta provocò in lui "un forte senso di delusione - si legge nel decreto di perquisizione - verosimilmente per il coinvolgimento di persone che egli non avrebbe immaginato potessero essere coinvolte".
Infatti nell’affare della droga, sostiene la Dda, "erano attivamente coinvolti”, i carabinieri "Lazzaro Cioffi e Fabio Cagnazzo" e gli albergatori della famiglia Palladino, in particolare Domenico che nel 2010 era consigliere comunale di Pollica e amico fraterno sia di Cagnazzo che di Angelo Vassallo. I fratelli Palladino, secondo la tesi della Procura, avrebbero dovuto mettere a disposizione dei trafficanti un deposito nel quale stoccare lo stupefacente. “Angelo Vassallo - scrive la Procura - nonostante avesse "forti timori per la propria incolumità”, era deciso a denunciare tutto. Si confidò, infatti, con l’allora procuratore capo di Vallo della Lucania, Alfredo Greco, riservandosi di formalizzare la denuncia ad un carabiniere di assoluta fiducia individuato poi dello stesso Greco.
Ma non fece in tempo perchè venne ammazzato il 5 settembre 2010, la sera prima di quell’incontro per la denuncia, con nove colpi di pistola mentre rientrava in auto a casa. Una circostanza temporale che non può non suggestionare e gettare altre ombre sull’intera vicenda.
E poi, nella nuova ricostruzione della Procura, c’è il tentativo di depistaggio dei carabinieri per incanalare le indagini verso un piccolo spacciatore della zona, Bruno Humberto Damiani. Il tenente colonnello Cagnazzo e il suo braccio destro Molaro, con la complicità di Cioffi, sono accusati di aver estrapolato, la mattina dopo il delitto, le immagini di una telecamera di videosorveglianza e in particolare quelle che ritraevano il giovane presunto spacciatore in piazza Diaz ad Acciaroli insieme al sindaco Vassallo. Il tutto per far cadere i sospetti sul giovane spacciatore di droga deviando così eventuali indagini dai veri responsabili. È per questo che i tre militari sono accusati di omicidio. Secondo la procura “l'attività di depistaggio, era già in precedenza pianificata e garantita dai due carabinieri”. Per l’estrapolazione di quelle immagini il tenente colonnello Cagnazzo fu indagato nei mesi successivi al delitto e poi scagionato. Tanto che nel decreto di perquisizione non è formalizzata nessuna accusa nei suoi confronti per questo episodio che oggi a dodici anni di distanza diventa un punto focale e determinante dell’intera vicenda.
E oggi emerge il ruolo di altri tre protagonisti. Quello di Giuseppe Cipriano, l’imprenditore scafatese gestore di due sale cinematografiche ad Acciaroli e Agnone che sarebbe stato coinvolto nel traffico di stupefacente. E quello di Salvatore e Romolo Ridosso, i due pentiti che secondo la Procura fecero un sopralluogo ad Acciaroli alcuni giorni prima del delitto insieme a Cipriano. Salvatore Ridosso, il giovane rampollo dell’omonimo clan di Scafati, è passato - insieme al padre Romolo - da testimone di giustizia ad indagato per l’omicidio. Fu lui, Salvatore a rivelare nel 2016 che nell’omicidio Vassallo era coinvolto Cipriano, ma anche Lazzaro Cioffi, il carabiniere che temeva di essere tirato dentro alla vicenda Vassallo.
Secondo la procura Ridosso avrebbe in qualche modo cercato di coprire le proprie responsabilità e quelle del padre in merito all’omicidio. Se così fosse perchè sei anni fa avrebbe dovuto raccontare episodi di cui era a conoscenza e metterli a disposizione degli inquirenti per essere coinvolto in un delitto nel quale nessuno avrebbe mai pensato fosse implicato? È stato anche il suo un tentativo di inquinare un quadro indiziario già compromesso?
Tanti troppi sono gli interrogativi che ancora restano irrisolti. Oggi bisogna solo prendere atto che l’indagine sull’omicidio Vassallo è tornata di nuovo alla ribalta della cronaca. E si spera che questa sia la ribalta che porti l’inchiesta verso la verità e soprattutto la giustizia e non diventi un altro capitolo oscuro per la morte di Angelo Vassallo, l'uomo, il sindaco pescatore, il simbolo ambientalista di Pollica e Acciaroli ucciso dodici anni fa.