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Ultimo aggiornamento il 27/03/2024

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Le indagini sulla morte di Eugenio Fasano non possono essere archiviate senza neanche un’autopsia che spieghi come è deceduto il carabiniere napoletano che il 22 gennaio 2019 ha perso i sensi dopo una partita di calcetto giocata tra i campi dell’Antico Circolo del Tiro al Volo.

Il giudice Nicolò Marino lo ha detto chiaramente, respingendo la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura. E ha ordinato ai pm di proseguire le indagini disponendo l’autopsia e ascoltando altri testimoni. Il tutto entro sei mesi. Senza l’autopsia non c’è una prova certa che il carabiniere, di 39 anni, sia morto per cause naturali. E non si può affermare neanche il contrario.

Quel che è certo è che Fasano ha perso i sensi negli spogliatoi del prestigioso circolo romano, alla fine di una partitella tra colleghi. Due giorni dopo il maresciallo è morto all’ospedale Umberto I. E dopo tredici mesi la cognata della vittima ha depositato una denuncia sospettando una correlazione tra "l’arresto cardio- circolatorio in infarto miocardio acuto" diagnosticato e le lesioni evidenziate nella cartella clinica: undici costole fratturate, un’arteria rotta, un polmone e lo sterno perforato. La Procura ha ascoltato i giocatori, il personale sanitario intervenuto sul posto, i medici dell’Umberto I, il medico dell’Arma che ha soccorso Fasano e anche i dipendenti del circolo. Ed è stata acquisita la documentazione sanitaria: "L’analisi della documentazione in atti permette di affermare con assoluta certezza che il decesso del signor Eugenio Fasano rappresenta una morte improvvisa da sport", è il responso dei consulenti del pm. Per questo la Procura ha chiesto l’archiviazione, forte anche della stessa decisione presa dal tribunale militare in un’indagine parallela.

Ma il legale di parte civile si è opposto affermando che i consulenti del pm "hanno scritto una sequenza non conforme a verosimiglianza storica degli eventi" e "hanno sbagliato nell’identificare i medici intervenuti sul posto", si legge nell’opposizione.

L’avvocato ha depositato anche una consulenza firmata dal dottor Donato Labella che arriva a "risultati diametralmente opposti rispetto a quelli a cui sono pervenuti i medici" della Procura. "Un massaggio cardiaco, pur intenso e prolungato, può fratturare le coste, ma non sicuramente far si che i campi fratturativi si sovrappongano", dice l’avvocato ponendo anche una domanda sulle tumefazioni presenti sul corpo della vittima. La famiglia del carabiniere vuole sapere come mai, se Fasano è morto di infarto, non è mai stata diagnosticata una malattia cardiaca. E ancora se il massaggio cardiaco è stato effettuato correttamente. L’autopsia, il referto dell’arbitro, i tabulati telefonici e altre testimonianze: sono queste le prove che l’avvocato pretende vengano esaminate. Perché, secondo la famiglia, "l’infarto non sarebbe la causa prima della morte ma la conseguenza di un altro evento", un’aggressione che secondo la procura non è mai avvenuta. Per i pm si è trattato di una tragedia, per la famiglia è una vicenda più oscura. La verità arriverà con l’autopsia.

"Sono felice che l’indagine prosegua – dice la cognata della vittima, Teresa Alfiero, che ha denunciato i fatti per conto della famiglia -. Un risultato ottenuto dopo un percorso lungo, inchieste giornalistiche e un’interrogazione parlamentare. Per questo ringrazio tutte le persone che si sono interessate alla vicenda".