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Ultimo aggiornamento il 19/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

C’è chi lo definisce un bavaglio, chi ritiene sia censura e chi ricorda che il fascismo in Italia non c’è più e chi chiede che magari la limitazione riguardi i politici che di virus e vaccini non capiscono nulla. È un coro concorde quello degli scienziati che commentano l’ordine del giorno a firma del deputato del gruppo Misto (ex M5s) Giorgio Trizzino, accolto ieri dal Governo, che chiede che virologi, immunologi, infettivologi in tv, alla radio o intervistati dai giornali parlino solo se autorizzati dalla struttura di appartenenza. Gli esperti, nella stragrande maggioranza docenti universitari e spesso a guida di lavoratori e reparti, non ci stanno anche se secondo Fabrizio Pregliasco, che spesso cita l’infodemia come uno dei problemi di comunicazione sul Covid, un codice etico e/o una carta che contenga modalità e principi per la divulgazione di notizie scientifiche. Detto questo esiste il manifesto di Piacenza entrato nel codice dei doveri del giornalista che prevede criteri molto precisi. 

“Io lavoro in un ospedale pubblico e quando ho parlato dei miei pazienti o della struttura sono stato sempre autorizzato. Dispiace leggere certe cose e chi ha proposto questo ordine del giorno forse non conosce alcune questioni. Io sono professore universitario – dice all’Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova – e come tale parlo quanto voglio e nessuno mi mette il bavaglio, perché altrimenti siamo di fronte al Fascismo. Io ho i titoli per parlare del virus e del vaccino, impedirmi di parlare sarebbe gravissimo. Se il Governo dovesse fare questo passo – osserva il medico – saremo l’unico Paese al mondo che limita il pensiero di professori universitari. Quindi non posso neanche scrivere un libro sul virus? O rilasciare un’intervista a un giornale? Rischiamo di scadere profondamente”. 

“Se questa proposta è tesa ad evitare un sovraesposizione mediatica che potrebbe fuorviare il messaggio corretto che deve arrivare ai cittadini, potrebbe essere utile parlane. Sottolineo però che dobbiamo evitare di portare legna da ardere a chi già solleva la presenza di una ‘dittatura sanitaria’. A mio giudizio è giusto che ci sia una pluralità di voci sui media”, perché “i cittadini sanno orientarsi, e che si ascoltino con correttezza anche le persone che la pensano diversamente da noi. La scienza però – afferma il direttore dell’Inmi Spallanzani di Roma, Francesco Vaia – deve essere autonoma e indipendente per poter fare bene il proprio lavoro e farci uscire dall’emergenza”. “A mio avviso dovrebbe esserci piuttosto una carta per tutti coloro che parlano” di Covid in tv, radio, giornali e media in generale “quali giornalisti, opinionisti e non addetti ai lavori” che garantisca “l’eticità di quello che raccontano e la veridicità delle loro affermazioni” citando cioè “da chi e dove le hanno apprese” ragiona Pregliasco, docente dell’Università Statale di Milano. “Non si può fare una censur l’autorizzazione della struttura cosa ci dà in termini di qualità di intervento? Ci vuole un codice etico ma per tutti. Il problema non sono i virologi, girano la colpa a noi ma è il giornalista o l’opinionista del caso che fa confusione e quindi ben venga un codice etico, con degli elementi essenziali, in base al quale uno quando dice qualcosa deve provarne la scientificità e il fatto che si è informato e da chi si è informato. Deve essere dichiarato un po’ come il conflitto di interessi. Quando noi partecipiamo a dei congressi – spiega il medico – la prima cosa che dobbiamo fare è dichiarare conflitto di interessi, biografia e bibliografia a cui si fa riferimento per le affermazioni. Questo è, ma deve essere per tutti però, compresi gli opinionisti che sono i peggiori”. 

“Il rischio – paventa l’esperto – è che facciano sparire i virologi che hanno studiato, continuando a far parlare gli altri. C’è un’esigenza di informazione ma quello che prevale, lo vedo in alcune trasmissioni, sono tre o quattro opinionisti che buttano lì quello che pensa la signora Maria, che è giusto ma – ammonisce Pregliasco – ci deve essere un’interlocuzione. Un opinionista non può dire ‘il vaccino è sperimentalè, deve dire ‘voglio sapere se è sperimentale’ che è cosa diversa. Invece nelle trasmissioni quello che succede è questo: messaggi che passano in maniera scorretta. Io alle volte – ricorda – ho litigato in trasmissioni perché si lasciava passare questo concetto e se passa da testimonial, se un giornalista che è una persona informata e colta dice così, vuol dire che ha questa indicazione“. “Io – conclude il virologo – continuerò se mi viene richiesto a dire la mia perché ritengo che l’educazione alla salute e l’informazione basata su dati scientifici che si aggiornano nel tempo vale la pena ed è necessaria”. “Io, se invitato, vado in tv o in radio a parlare di quello che conosco e se devo chiedere l’autorizzazione alla mia struttura lo faccio. Ma – commenta Massimo Andreoni, primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) – sono anche professore universitario e pensare di mettere dei vincoli alla voce della scienza o di limitarla è preistoria. Posso capire che spesso c’è stata una sovraesposizione di colleghi ma a questo punto iniziamo a mitigare gli interventi anche dei politici che in tv parlano del virus o dei vaccini senza sapere nulla”. 

Anche Massimo Galli, primario dell’Ospedale Sacco di Milano, tra volti più noti e amati dalla televisione, trova l’odg fuoriluog: “Quella dell’ordine del giorno al Dl Green Pass che parla di autorizzazione delle strutture sanitarie ai medici per poter parlare con i media è davvero un’uscita peregrina. Fa specie che un professionista abbia da subire una censura preventiva nell’esprimere un’opinione o su una spiegazione tecnica sul Covid. Questo è un bavaglio”. “Certo – aggiunge – ci sono persone che dicono assolute sciocchezze, altri che dicono e poi disdicono, ma ci sono anche professionisti che spiegano le cose come stanno. Ma in questo caso siamo al grottesco: impedire ai medici di parlare è come dire che un avvocato non può discutere di argomenti giuridici in tv e sui giornali o un ingegnere di argomenti tecnici”. Lapidario con un tweet Roberto Burioni, Professore di Virologia all’Università San Raffaele, Milano: “Virologi troppo spesso in tv? Personalmente non appaio più in TV dal 30 maggio scorso”