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Ultimo aggiornamento il 19/04/2024

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Un'idea di Carlo Meoli

Le condizioni in cui vivono tanti migranti in Italia sono allucinanti, ma la storia raccontata da Fabrizio Peronaci sul Corsera è incredibile.

 

 

Nella Roma degli ultimi, di uomini e donne accampati ovunque, sulla riva del Tevere, nei cunicoli dei sottopassi, dentro le cabine elettriche, in condizioni di grande precarietà e pericolo, una «casa» del genere non s’era mai vista. Una fettuccia di verde spelacchiato tra i guardrail che dividono le carreggiate, in una delle strade a maggiore scorrimento e a più alto tasso di smog: via del Muro Torto.«Vedi, oggi caldo ma per fortuna trovato ombrellone», dice lui nel suo italiano semplificato, ma perfettamente comprensibile. «Io in Italia da 18 anni, rifugiato, aspetto permesso per lavoro. Per ora vivo qui». E si volta per mostrare il suo rifugio: un cartone come giaciglio, panni stesi sulle frasche, un asciugamani a coprire un tombino, la scatoletta di tonno aperta, le posate di plastica... Nelle orecchie, un rimbombo infernale: sono le auto, le moto, i bus, le ambulanze che sfrecciano alla nostra destra e alla nostra sinistra. Nel naso, le zaffate di smog che arrivano a folate dai tubi di scappamento. 

Per raggiungerlo, ho rischiato grosso. Venendo da piazzale Flaminio, la «casa» di David, che ha 43 anni ed è scappato dalla Liberia, paese flagellato dalla fame e dalle guerre civili, l’ultima conclusa nel 2003, si trova oltre il guard rail sulla corsia di sorpasso, all’altezza del Galoppatoio. Parcheggiata l’auto a destra, con le frecce d’emergenza accese, in tre salti, confidando in una pausa di pochi secondi del traffico del Muro Torto, l’ho raggiunto nella fettuccia di erba e cespugli dello spartitraffico. Sulle prime, era diffidente. Poi si è aperto. «Io cerco aiuto, possibile? Mai fatto niente di cattivo. Sono scappato dal mio Paese, Monrovia, Liberia, conosci? Lì pericoloso e niente soldi. Questo è il documento, guarda...» In una busta del supermercato piena di fogli con timbri e indicazioni topografiche è racchiuso il futuro di David. O perlomeno, la sua speranza di un futuro in Italia: c’è l’istanza di protezione internazionale, come rifugiato, presentata all’Ufficio immigrati della Questura, la nota del fotosegnalamento, l’opuscolo di un centro di formazione professionale per trovare lavoro («Quale mestiere? Io so fare tutto, sono forte», dice mostrando braccia muscolose) e la mappa delle mense per poveri. «Ciao David, buona fortuna», lo saluto sfiorando il gomito. Poco più su, oltre la macchina con le frecce in funzione, c’è la Roma benestante, via Veneto, i Parioli.